Per evitare il collasso della civiltà umana è quindi indispensabile una profonda trasformazione dei modelli culturali dominanti. Tale trasformazione deve superare il consumismo – l’orientamento culturale che porta l’individuo a trovare significato, appagamento e accettazione attraverso ciò che consuma – sostituendolo con un nuovo contesto culturale incentrato sulla sostenibilità. Emergerebbe così una rivalutazione della comprensione del “naturale”, che comporterebbe scelte individuali e sociali con danni ambientali ridotti o minimi o, ancor meglio, che rimetterebbe in sesto i sistemi ecologici della Terra, oggi profondamente deteriorati. Ricorda Flavin: “Un tale mutamento – qualcosa di più fondamentale rispetto all’adozione di nuove tecnologie o di nuove politiche governative, spesso considerate come forze chiave di un cambiamento verso società sostenibili – a livello globale, rimodellerebbe il modo di concepire e di agire dell’uomo alla radice".
Certamente, trasformare le culture non è impresa facile, come ci ricordano i ricercatori del Worldwatch e la cinquantina di esperti che hanno collaborato a questo “State of the World 2010”. Con ogni probabilità ciò costituisce oggi la sfida più significativa ed importante per l’intera umanità. Saranno necessari decenni d’impegno in cui i pionieri culturali – coloro che riescono ad avere una visione distaccata e critica della realtà culturale – lavoreranno instancabilmente per reindirizzare le istituzioni chiave della formazione culturale: istruzione, economia, governo, media e anche i movimenti sociali e le tradizioni umane consolidate.
Consideriamo alcuni dati, riportati dal rapporto, per comprendere meglio come sia oggi impossibile fornire uno stile di vita occidentale ai 6,8 miliardi di esseri umani che abitano il nostro bellissimo pianeta. Nel 2006, a livello globale, si sono spesi 30.500 miliardi di dollari in beni e servizi. Tale spesa comprendeva bisogni primari come cibo e alloggi, ma all’aumentare dei redditi disponibili corrispondeva un incremento delle spese in beni di consumo: da cibi più raffinati e abitazioni più grandi a televisori, automobili, computer e viaggi in aereo. Nel solo 2008, globalmente, le statistiche ci dicono che sono stati acquistati 68 milioni di veicoli, 85 milioni di frigoriferi, 297 milioni di computer e 1,2 miliardi di telefoni cellulari.
Oggi, quotidianamente, un europeo medio usa 43 chilogrammi di risorse e un americano 88. A livello globale, ogni giorno l’umanità preleva dalla Terra risorse con le quali si potrebbero costruire 112 Empire State Building, il famoso grande grattacielo di New York (l’Empire State Building è alto 381 metri, con l’antenna 443 metri ed ha un peso stimato in 275.000 tonnellate).
Nel 2006, i 65 paesi con alti redditi dove domina maggiormente il consumismo erano responsabili del 78% della spesa in beni di consumo, ma costituivano solo il 16% della popolazione globale. Lo stesso anno, solo negli Stati Uniti, la spesa in beni di consumo è stata di 9,7 mila miliardi di dollari – circa 32.400 dollari pro capite – il che rappresentava il 32% della spesa globale, con solo il 5% della popolazione mondiale. Il rapporto del Worldwatch sottolinea chiaramente che sono questi paesi che hanno urgentemente bisogno di rivedere i modelli di consumo, poiché il pianeta non ne può sostenere livelli così elevati. Di fatto, se tutti vivessero come gli statunitensi, si ritiene che la Terra potrebbe sostenere solo 1,4 miliardi di individui. A livelli di consumo leggermente inferiori, benché ancora elevati, il pianeta potrebbe supportarne 2,1 miliardi. Ma anche con redditi più bassi – l’equivalente di ciò che guadagnano mediamente in Giordania e Thailandia – la Terra può sostenere meno persone dell’attuale popolazione. Queste cifre mostrano una realtà che pochi desiderano affrontare: con gli attuali 6,8 miliardi di individui del pianeta, i moderni modelli di consumo, anche a livelli relativamente bassi, non sono sostenibili.
Un’analisi del 2009 dei modelli di consumo tra le classi socioeconomiche indiane lo ha dimostrato chiaramente. Oggi, in India, i beni di consumo sono ampiamente accessibili. Anche con livelli di reddito annuale di circa 2.500 dollari pro capite in parità di potere di acquisto (ppp), molti nuclei familiari possono permettersi l’illuminazione e un ventilatore. Via via che i redditi raggiungono circa 5.000 dollari annui ppp, possedere il televisore diventa la norma e così lo scaldacqua. Con 8.000 dollari ppp l’anno, gran parte possiede una vasta gamma di beni di consumo, dalle lavatrici e lettori DVD a elettrodomestici da cucina e computer. Con l’aumentare del reddito, diventano comuni l’aria condizionata e i viaggi in aereo.
Non sorprende che l’1% degli indiani più ricchi (10 milioni di individui), che guadagnano oltre 24.500 dollari ppp l’anno, siano oggi individualmente responsabili di oltre 5 tonnellate di emissioni di CO2 l’anno – che tuttavia è appena un quinto delle emissioni pro capite statunitensi, ma il doppio del livello medio di 2,5 tonnellate pro capite necessario per mantenere l’aumento delle temperature sotto i 2 °C.
Come evidenziano diverse ricerche riportate dal Worldwatch Institute, anche con livelli di reddito che gran parte degli osservatori considererebbero di sussistenza – circa 5.000-6.000 dollari ppp pro capite l’anno – si consuma già a livelli insostenibili e oggi oltre un terzo della popolazione globale vive sopra questa soglia.
L’adozione di tecnologie sostenibili dovrebbe permettere ai consumi di base di posizionarsi in una dimensione ecologicamente possibile. Per i sistemi naturali del pianeta Terra, però, lo stile di vita americano o anche europeo è semplicemente improponibile. Dalle analisi riportate dal Worldwatch si è riscontrato che, nei prossimi 25 anni, per produrre energia sufficiente a soppiantare gran parte di quanto fornito dai combustibili fossili, si dovrebbero costruire 200 metri quadrati di pannelli solari fotovoltaici e 100 metri quadrati di solare termico al secondo, più 24 turbine eoliche da 3 megawatt all’ora nonstop, per i prossimi 25 anni. Tutto ciò richiederebbe spropositate quantità di energia e materiali – ironicamente aumentando le emissioni di carbonio proprio quando maggiormente bisognerebbe ridurle – e aggraverebbe enormemente l’impatto ecologico globale dell’umanità nel breve termine.
L’analisi di ciò che sta accadendo sui vari fronti dell’attività umana per spostare i nostri modelli di sviluppo socio-economico diventa quindi uno stimolo fondamentale per proseguire su questa strada, ampliando la portata delle iniziative e la capacità innovativa delle stesse. Lo “State of the World 2010” è uno straordinario stimolo a riflettere e ad agire.
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