Perché non ci racconta come è iniziata la sua “avventura”?
In realtà è iniziato tutto con la malattia di mio marito. Erano gli inizi degli anni novanta ed egli si è ammalato gravemente di tumore. Cercando disperatamente una soluzione mi sono imbattuta nel nome di Padre Romano Zago, un frate francescano di Porto Alegre, che in Brasile curava i suoi pazienti con l’estratto di un erba dalla proprietà miracolose, sconosciuta in Europa, chiamata Aloe. Per mio marito purtroppo era troppo tardi, ma promisi a lui ed a me stessa di proseguire le ricerche.
Immagino che avrete incontrato degli ostacoli.
Il primo ostacolo da superare fu quello di dover adattare una ricetta originaria degli indios latino-americani al sistema medico-legale italiano. Quello che là si basava sulla bravura del taumaturgo nel dosare le quantità, e sulla fiducia dei pazienti, doveva trasformarsi in un metodo rigoroso e scientifico con dati certi sulle guarigioni. Ammetto di essere stata io la prima a volere una prova statistica delle capacità curative della pianta. Fondai dunque un laboratorio, in cui, con l’apporto di medici e ricercatori, iniziai ad analizzare le caratteristiche dell’Aloe ed i risultati della sua somministrazione a pazienti affetti da tumori. Mi concentrai in particolar modo sull’Aloe Arborescens, che fra tutte le diverse sottospecie pareva essere quella dalle caratteristiche più sorprendenti. I risultati furono eccezionali, e proprio qui sopraggiunse il secondo ostacolo.
Ci spieghi meglio.
Dunque cosa ha fatto?
Ho evitato i mezzi di diffusione maggiori, cercando comunque di far conoscere le proprietà curative della pianta; sono intervenuta a convegni e conferenze. Grazie a questa opera continua e allo sviluppo di nuove ricerche come quella condotta a livello mondiale dal biologo Alessio Tafuri, pian piano diverse società che si occupano di medicinali cosiddetti “alternativi” hanno iniziato ad interessarsi all’Aloe. Oggi le sue caratteristiche sono generalmente riconosciute, anche se non in tutto il loro potenziale.
Ma la sua storia non termina qui, giusto?
Certo che no. Lavorare sulle capacità curative delle piante mi ha fatto comprendere la stretta relazione che lega l’uomo alla natura. Di conseguenza è nata in me una sorta di avversione per tutto ciò che naturale non è: sostanze chimiche, pesticidi, erbicidi. Aiutata dai miei tre figli mi sono data all’autoproduzione di olio e piante biologiche. Alcune di esse le ho usate poi per produrre altri medicinali. Ad esempio ho inventato una cura per le api che ne aumenta le difese immunitarie e le rende così resistenti ai terribili pesticidi come l'imidaclopride e la clothianidina, prodotti dalla Bayer, che ne uccidono a migliaia.
Com’è possibile allora che l’olio di girasoli industriale costi solo 50 centesimi?
È quello che mi sono chiesta anche io! Ho svolto una rapida ricerca su internet ed ho scoperto che l’olio che acquistiamo per così pochi soldi è risultato di una lunga serie di processi chimici industriali che gli tolgono sapore, odore e colore. Un quadro piuttosto inquietante.
Sicuramente. Avete fatto altre semine?
Abbiamo anche tentato di piantare dei semi di grano duro senza concia ma ci hanno spiegato che era impossibile, che per legge i semi devono avere alle spalle almeno tre trattamenti di diserbo e poi bisogna seminare solo quelle sementa sterili che vendono nei centri, prodotti dalle multinazionali.
Che rapporto c’è, a suo parere, fra il mondo della agricoltura/medicina biologica e quello della grande produzione industriale?
Dunque non si può fare niente?
Certo che si può. Ed è la soluzione più facile del mondo. Basta amare la Terra, incondizionatamente. Dunque non fare niente che possa danneggiarla, a partire dai più piccoli gesti quotidiani, come che so, gettare una cartaccia per terra. È questo il messaggio che vorrei lanciare. Se si ama la Terra, certo non la si vuole infettare con pesticidi, ne si ha la presunzione di poter migliorare i suoi prodotti con la scienza o la genetica. Se ciascuno amasse la Terra, beh questo sarebbe sufficiente.
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