dunque hai deciso di inoltrare alle Nazioni Unite «la richiesta ufficiale di nominare L’Essere Umano “PATRIMONIO DELL’UMANITA’”» perché ciò «sarebbe di straordinario valore umanitario da parte di un Ente planetario, come è giusto che sia per i massimi capolavori dell’arte e della natura». Lo trovo anch’io giusto e importante. Trovo la tua iniziativa geniale, come tutte le cose semplici. Come è semplice e fondamentale dire che il nostro più grande capitale è il tempo della nostra vita. Tanto che spesso mi domando come sia possibile che così pochi lo comprendano. Tu chiedi ai tuoi lettori di aderire alla tua proposta e sostenerla e anch’io vorrei tanto farlo, ma purtroppo me lo hai impedito. Ecco in che modo.
Innanzi tutto, tu parti da una premessa sbagliata, lì dove scrivi «che l’essere umano è la realtà più sottovalutata, più negata, più sfruttata e più sciaguratamente sottomessa del pianeta». Che l’essere umano sia sottovalutato, negato, sfruttato, sciaguratamente sottomesso è desolatamente, spesso tragicamente vero, ma affermare che lo sia in misura maggiore di tutte le altre realtà viventi della Terra trasforma una fondamentale verità in una mistificazione.
Tu stesso, alcuni anni fa, hai proiettato nel tuo cinema, mi dicono a lungo, un documentario sui macelli; non so se ne hai mai proiettati di analoghi sulla devastazione delle foreste primarie, dei mari, perfino delle zone artiche, sugli orrori della vivisezione e su ogni altro simile genocidio che non starò qui a elencare ma che tu conosci, che certamente hai, direttamente o indirettamente, visto. Dunque è inevitabile leggere in quella tua frase un atteggiamento di indifferenza, una volontà di cancellazione nei confronti di tutto ciò.
Più oltre scrivi che scopo di questa tua iniziativa è dimostrare che «l’essere umano effettivamente è, anche solo come macchina biologica, il massimo capolavoro che la natura abbia raggiunto in cinque miliardi di anni». E’ una vecchia, tetra storia che si ripete. Ogni tanto nelle vicende umane salta fuori qualcuno che proclama quel pezzetto del mondo vivente cui egli appartiene come il capolavoro, la vetta suprema dell’esistente. E nascono così le nefaste allucinazioni del popolo eletto, del sesso forte, del reich millenario, della vera (e unica) fede, con tutto lo strascico di oppressione e infelicità che ogni volta ne consegue.
E giustificando con ciò quello che oggi è il più gigantesco e spaventoso di tutti i mali: il tallone dell’uomo che preme con furia su tutto il resto del mondo vivente, senza accorgersi che in tal modo preme anche su se stesso. Ed ecco dunque la sottovalutazione, la negazione, lo sfruttamento, la sciagurata sottomissione anche di quell’essere umano su cui tu concentri la tua attenzione. Un “piccolo” effetto collaterale di un male ben più vasto che coinvolge ogni essere vivente della Terra.
Ti racconto a questo punto una storiella. Fu ideata a uso e consumo dei Gesuiti, ma poiché quando si esce dai confini dell’umano il tuo pensiero è indistinguibile dal loro direi che è adatta anche a questa circostanza.
Dunque, un tale muore e va in paradiso. Lì giunto, si trova immerso in un giardino rigoglioso e stupendo; ovunque vada lo circondano prati, boschi, stagni in mezzo ai quali pullulano innumerevoli forme di vita: stormi di uccelli popolano il cielo, sugli alberi si arrampicano gli scoiattoli, all’ombra di essi riposano o pascolano animali di tutte le specie… E’ in mezzo a un tale scenario che si svolge la vita eterna delle anime beate, cui il nostro di buon grado si unisce.
Un giorno, vagando solo fra gli splendidi boschi, si trova improvvisamente di fronte a un’altissima e interminabile muraglia. Prova a percorrerla da un capo all’altro e scopre che è una muraglia circolare, che racchiude dentro di sé una vastissima area. Preso dalla curiosità si solleva in aria fino a giungere in cima alla muraglia e guarda al di là. Ciò che vede lo sconcerta: una vastissima distesa di terra brulla, totalmente vuota. Non un albero, un arbusto, un solo filo d’erba. E in mezzo a tutta quella desolazione vede aggirarsi lentamente, svogliatamente delle anime apparentemente simili a lui.
Torna giù e riprende il suo girovagare fra le bellezze del paradiso. Ma ciò che ha visto continua a tormentarlo, finché un giorno si decide ad andare da San Pietro a chiedere spiegazioni: “Cos’è quel luogo? Chi sono quelle anime segregate là dentro? Cosa avranno mai fatto per meritare una simile punizione? E’ forse l’inferno ciò che ho visto?”
- “L’inferno?” – dice san Pietro – “Ma no, anche quello fa parte del paradiso”.
- “Del paradiso? Quello?”
- “Ma sì! Ti spiego subito. Quelle che hai visto al di là del muro sono le anime di tutti coloro che in vita erano fermamente convinti che in paradiso ci andassero solo gli esseri umani. Così noi, per non deluderli, abbiamo creato quella zona di paradiso in cui non c’è nessun altro; solo loro. E loro sono contenti”.
Smettere, fra l’altro, di vedere i problemi sociali e ambientali come due problemi (un errore che perfino Alexander Langer, pur nella sua lungimiranza, commise) ma accorgersi che sono un problema solo, e direi anche cambiare il nostro stesso linguaggio. Mettere da parte parole asettiche come “ambiente” o “ecosistema” e parlare di comunità viventi, di una grande rete di relazioni di cui noi siamo un nodo interagente. Relazioni fra gli uomini ma anche, identicamente, degli uomini con tutti gli altri abitanti della Terra.
Non capisco questa smania intransigente di porre se stessi in cima a una sorta di podio olimpionico dell’evoluzione. La superiorità della razza ariana, della razza bianca, della borghesia, e infine, tutti insieme, la superiorità della specie umana. Cambia solo la posizione del confine, non l’idea di confine e ciò che sottintende: una cultura fatta di gerarchia, esclusione e dominio anziché di uguaglianza, condivisione e mitezza.
Giustamente tu credi nei bambini. Se vogliamo parlare di capolavori, essi sì che lo sono. Ma lo sono perché non si considerano tali. Essi smettono di esserlo da adulti perché hanno insegnato loro a credersi tali. Smettono di esserlo quando hanno assorbito la cultura del dominio.
Ecco il punto: quando l’uomo avrà smesso di credersi il capolavoro della natura avrà fatto il primo passo per diventare uno dei capolavori della natura. Oggi non lo è, anche se sono fermamente convinto che abbia tutte le potenzialità per diventarlo. E chissà, forse anche perché non lo è, ha bisogno di creare quei surrogati che sono i capolavori dell’arte.
Aspetterò dunque. Aspetterò il giorno in cui un figlio del figlio del figlio del figlio di un tal Silvano inoltri a una ipotetica e oggi inimmaginabile UNESCO futura la richiesta di riconoscere ogni essere vivente come patrimonio della Terra.
Ringrazio Franco Lamensa per avermi raccontato, a margine di una polemica con Civiltà Cattolica, la storiella dei due paradisi.
I testi di Silvano Agosti cui faccio riferimento si trovano su www.azzurroscipioni.com
1 Marzo 2010 - Scrivi un commento