Il sogno durò ben poco. Boyle giunto a Calais, dopo appena un mese, si scontrò con le difficoltà di una lingua che non sapeva parlare, incapace, quindi, sia di raccontare la propria impresa sia di recuperare del cibo. Mark veniva visto come un "homeless" e rischiava di morire di fame.
Il viaggio senza soldi si interruppe quindi quasi subito, ma non infranse la fede di Mark che ci ha riprovato buttandosi in una nuova sfida: vivere un anno senza soldi. L'approccio filosofico che sostiene la scelta è semplice: i soldi hanno posto troppi gradi di separazione tra la gente (i consumatori) e ciò che viene consumato (la terra, gli animali, ecc, ecc...) creando quindi un'umanità - occidentale s'intende - incosciente dei danni e della sofferenza che ogni oggetto acquistato si porta dietro.
Giunto oramai verso la fine Mark dice di aver imparato che l'amicizia ti da molta più sicurezza dei soldi e che la povertà occidentale è soprattutto una povertà dello spirito.
Ma cosa possiamo imparare noi leggendo la sua storia? In un mondo devastato dalle guerre, dalla fame, dal riscaldamento climatico e da tanti altri problemi, a cosa dovremmo dedicarci per primi? Ad uno per volta? Forse a nessuno ci dice tra le righe Mark, forse dovremmo capire quale idea di mondo stiamo inseguendo - basato sulle relazioni? sulle emissioni zero? sul minor impatto ecologico possibile? in armonia con la natura? sui diritti umani? - e cercare di renderla reale anzitutto nella nostra vita.
Mark Boyle ne è stato capace, e noi?
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