Il tempo è grigio, il cielo, che si suppone azzurro, resta tale in una misera sovrapposizione di grigi. Nuvole gonfie, più scure da una parte, più chiare e leggere da un’altra. Che importanza ha? Tra poco inizierà a tuonare, il mio umore troverà sintonia con la pioggia incessante. Finalmente pioverà.
A qualcuno non importa. Le cose importanti sembrerebbero essere altre. Ma siamo seri, quando è il momento di fermarsi? Quando sarà il momento di capire che ormai è inutile tenere l’aria condizionata accesa in ufficio, mentre tutti abbiamo gli occhi lucidi dal raffreddore e siamo vestiti come cipolle di gran classe? Quando ci fermeremo un attimo per capire che basterebbe guardarsi negli occhi e comprendere ciò a cui le parole non attingono in anni?
Quindi? Quindi, mi domando io, sulla soglia dell’oblio. La comprensione del danno della cultura, o non cultura contemporanea è afferrabile osservando la solitudine dei singoli. L’esaltazione della comunicazione non verbale di superficie, dietro la quale come soggettività ci nascondiamo. Camminando non guardiamo più. Non ci accorgiamo se e degli altri. Ma gli altri esistono realmente? Che canzone sto cantando e con chi sto parlando mentre velocemente attraverso la strada per raggiungere la meta, la mia meta? Che cosa è successo all’interno del soggetto? Quale processo di evoluzione o involuzione ha subito. Perché comunicare è diventato così difficile?
Eppure è questa, è la nostra la società. Società della comunicazione! Attraverso l’apparenza, attraverso i vestiti ci distinguiamo e creiamo appartenenze, attraverso una posizione sociale definiamo il nostro status, guidando un’automobile piuttosto che un monopattino sottolineiamo una scelta. Società della scelta? Quale scelta all’interno di un paradigma già definito?
L’uomo per mezzo del suo progredire tecnico si è vincolato alla tecnica in uno spazio senza prospettiva e senza passato. Lo spazio è diventato semplicemente quello del presente. Si evidenzia, così, la fragilità del soggetto: solo, sul limite, sulla soglia del nulla da osservare. Tutto diventa mezzo ad una prospettiva che non ci racchiude se non come oggetti. Tutto è per il fine ultimo della semplice ma complessa maglia tecnica. L’uomo stesso diventa “fondo”, parte sfruttabile di un progetto che non vede nella sua totalità.
Non è paura del progresso, non significa ancorarsi a teorie passate o ad una forma di conservatorismo, evidentemente decontestualizzata. Semplicemente consapevolezza e non cieca accettazione del tutto.
Ora piove, fuori dalla finestra di questo ufficio pieno di cavi e schermi luminosi, fuori dalla reale necessità del lavoro come forma di sopravvivenza, piove. Pioverebbe comunque, a prescindere dal fatto che io sia qui o altrove. Ci sono eventi che stupiscono perché incomprensibili e assolutamente fuori da ogni logaritmo umano.
15 Settembre 2009 - Scrivi un commento
"Un minuto liberato dall'ordine del tempo ricrea in noi l'uomo liberato dall'ordine del tempo". - Proust
Alla faccia dei post-moderni!
Complimenti per il tuo pezzo.