Il caso giudiziario, assegnato alla corte di Molepolole, è relativo a due episodi verificatisi uno agli inizi di quest’anno e l’altro nel 2007.
Nel 2006, il giudice dell’Alta Corte del Botswana, Justice Phumaphi, aveva decretato che proibire la caccia di sussistenza ai Boscimani fosse “equivalente a condannarli a morte”. Con una sentenza storica, il tribunale aveva riconosciuto ai Boscimani il diritto di vivere nelle loro terre ancestrali, e aveva condannato i ripetuti sfratti forzati operati dal governo nonché la distruzione delle loro fonti dell’acqua e il divieto imposto sulla caccia.
Dal 2001, il governo non ha più rilasciato nemmeno una singola licenza di caccia nonostante la Corte abbia giudicato il suo divieto come illegale e incostituzionale. I Boscimani che ne hanno fatto richiesta sono almeno 75.
Dal dicembre 2006, cioè dalla felice conclusione del processo, alcuni Boscimani sono tornati a casa ma molti restano ancora intrappolati nei campi di reinsediamento, da loro definite come “campi di morte”. Rifiutandosi di permettere loro di cacciare e di accedere ai pozzi dell’acqua, di fatto, le autorità continuano a ignorare le decisioni del tribunale.
Stephen Corry, direttore generale di Survival ha commentato: “Mandare in prigione sei Boscimani per aver cacciato è un oltraggioso atto di ipocrisia. Negando ai Boscimani l’accesso all’acqua e il permesso di cacciare, il governo persevera nel rifiutarsi di rispettare una sentenza emessa dal suo stesso tribunale. Proibire loro di cacciare per sopravvivere, è un atto illegale”.
Nel marzo scorso, il relatore speciale delle Nazioni Unite ha compiuto una missione sul campo costatando personalmente il divieto di accedere all'acqua posto ai Boscimani.
Articolo tratto da Survival
29 Luglio 2009 - Scrivi un commento