Il suo nome è Paolo Murgia e la sua vicenda merita di essere citata in quanto, di questi tempi, si fanno purtroppo rare le persone che non si lasciano abbindolare dai soldi. Il Sig. Murgia parla il linguaggio dell’anima. Nemmeno per cifre da capogiro egli lascerebbe che le terre dove da una vita porta a pascolare il suo gregge vengano distrutte da una nuova ondata di cemento. Nemmeno se questa ondata dovesse chiamarsi “Costa turchese” e portare la “salvezza” dello sviluppo a tutti gli isolani.
Le “sue terre”, appunto, perché quel che siamo soliti chiamare “anima” o “psiche” o ancora “identità”, secondo la psicologia animistica non è intermente racchiuso nella scatola cranica o nel muscolo del cuore, ma consiste piuttosto in una relazione che unisce mondo interiore e mondo naturale e nella quale il secondo fa da supporto alle proiezioni del primo. Da questa unione profonda nasce e si sviluppa il connubio Natura/Cultura attraverso un interscambio continuo che in certi casi ha portato a straordinarie forme di simbiosi di cui molti paesaggi in Italia e nel mondo testimoniano tuttora.
In questo senso, lo svolgersi della vita dell’anima richiede spazi naturali tanto quanto il corpo ha bisogno di spazio fisico per muoversi e svilupparsi. Distruggendo a scopo di lucro il territorio naturale al quale l’anima tende spontaneamente ad unirsi in un rapporto di partecipazione animistica, si annienta al contempo l’identità delle persone che in quei luoghi si riconoscono e ai quali sono legate da dinamiche psicologiche profonde.
Una questione da porsi è: come mai certe persone sembrano prive di quella sensibilità necessaria per accorgersi dell’esistenza di quel tipo di legame con la Natura? la risposta non è certo agevole, molti fattori possono entrare in linea di conto. L’uomo moderno, da una parte, appare posseduto da quell’atteggiamento che è solito chiamare “razionale”, una forma di pensiero necessariamente freddo e distaccato che lo porta ad usare criteri oggettivi anche per affrontare situazioni che invece richiederebbero altre competenze, come per esempio problemi psicologici, esistenziali o sentimentali.
D’altra parte, questa sua unilateralità psicologica lo porta a quantificare ogni cosa attraverso l’uso esclusivo del danaro. Per cui, quel che il danaro potrebbe rappresentare in una psicologia equilibrata, cioè un mezzo utile alla gestione degli scambi materiali tra le persone, è diventato invece per l’uomo occidentale un vero e proprio fine che si sostituisce al senso della vita. “Fare soldi” significa allora “contare”, inteso sia nel senso di calcolare il valore o il costo di ogni cosa (compreso le idee, gli affetti, le relazioni…), sia in quello di “contare nella vita”.
Quel che più importa nella vita, quindi, è fare soldi perché solo il capitale e il patrimonio si prestano ad essere calcolati e “a-prezzati” in maniera precisa e “razionale”.
Ma quando il danaro, da semplice mezzo al servizio della realizzazione dell’individuo, diventa fine dello stesso, allora le cose dell’anima (dell’inconscio) vengono represse o annullate e sostituite dai valori e dal metro economici. Per questa via l’economia, da scienza o sistema autenticamente razionale, diventa Economia, religione inconsapevole. E siccome ogni religione ha i propri controvalori e le proprie figure eretiche, il pastore Murgia viene visto dai suoi contendenti come uno “scomodo personaggio” di volta in volta “pazzo” per permettersi di sputare su ingenti somme di danaro, o “furbo” perché in quel modo l’offerta potrebbe aumentare.
Ma il nostro pastore sembra invece opporsi con tenacia al calcolo “razionale”, al valore di mercato, preferendovi forse quel tipo di unione animistica con le sue terre di cui abbiamo accennato in precedenza. In quel caso, mi auguro che la vicenda possa ispirare quella impegnativa avventura di recupero dell’anima che attende l’uomo moderno.
Antoine Fratini, Fidenza il 07/07/2009
Articolo tratto da www.decrescitafelice.it
21 Luglio 2009 - Scrivi un commento
Egidio