Chi di noi non si sente a volte un po’ “outsider”? L’estate è il mio momento di nuotare controcorrente ed è anche quello in cui benedico gli esodi di massa e le follie del week-end.
Sabato 21 giugno, ore 9.00. La città è deserta. Nelle strade silenziose e assolate cammino sentendomi una specie di extraterrestre atterrata su un pianeta disabitato, anzi popolato esclusivamente da ultrasettantenni con buste della spesa. “Dove sono finiti tutti quanti?” mi chiedo. In quel momento squilla il cellulare. E’ un’amica che mi chiama dalla via Ostiense.
E’ partita presto per andare al mare, ma davanti a lei si snoda un serpentone di auto che parte da Roma e arriva fino a Ostia. Ecco perché mi trovo in una città fantasma! Lei è colta da un leggero panico, ma è comunque determinata a conquistare la sua tintarella, e poi restare a Roma il fine settimana è decisamente out.
Quattro ore dopo è a destinazione (a piedi sarebbe certamente arrivata prima), un’altra ora per trovare parcheggio e alle due e mezza del pomeriggio riesce infine a conquistare il suo metro quadrato nel tappeto di carne umana sudata e incremata che ricopre interamente il litorale.
Per quei centimetri ha sborsato una cifra da capogiro, ma è comunque soddisfatta: finalmente può sudare in pace per un paio d’ore, facendo solo un po’ di attenzione a non essere calpestata. Ovviamente fare il bagno è impensabile, dato che l’acqua ricorda da vicino la cloaca maxima, tuttavia con una fila circa quindici minuti ci si può rinfrescare sotto la doccia a gettone dello stabilimento.
Cosa si può chiedere di più dalla vita? Il tempo si ferma, la mia amica si rosola ben bene al sole più raccomandato dai dermatologi, si diverte un mondo. Due ore dopo però scatta l’ora x. Alle quattro e mezza in punto infatti, come rispondendo ad una invisibile chiamata collettiva, la marea umana rinviene e si avvia, ovviamente in massa, verso l’auto per il rientro in città. La mia amica è di nuovo a casa per la cena.
Il giorno dopo tutti sfoggiano l’abbronzatura d’ordinanza e si raccontano dove sono stati. Il commento unamime è: “Impossibile restare in città con questo caldo! Finalmente è arrivata l’estate: io adoro il mare!”.
“Il mondo è bello perché è avariato” dice sempre allegramente mio cognato ed effettivamente chi potrebbe dargli torto? Trovo meravigliosa la diversità che ci contraddistingue. Il solo pensiero di una giornata come quella della mia amica mi fa uscire di testa: trascorrere otto ore in auto per fare trenta chilometri e altre due sdraiata tra migliaia di sconosciuti che urlano al cellulare o inseguono bambini sollevando tonnellate di sabbia, sudando come cammelli o immergendosi in acque putride, mi sembra pura follia. Invece lei era felice, veramente F-E-L-I-C-E!
Questo mi sembra fantastico: che ciascuno riesca ad essere contento a modo suo e soprattutto che il mio modo sia diverso da quello di altre tre milioni di romani, che gentilmente mi lasciano la città a completa disposizione per fare la turista, indossare vestitini leggeri e finalmente rilassarmi nell’insolita pace cittadina. Anche se è difficile crederlo, per amare la tranquillità non occorre essere depressi cronici, indossare occhiali con spessa montatura nera da intellettuale né andare a vedere retrospettive di cinema russo anni ’30, disprezzando il resto del genere umano in fuga dalla metropoli.
Forse è sufficiente non temere di essere considerati un po’ “sfigati”, sfoggiando a luglio quella carnagione lattea che nell’immaginario collettivo evoca fantasmi di solitudini forzate e salute cagionevole. Magari essere anche soddisfatti di pensare con la propria testa e fare scelte insolite, evitando i rituali collettivi del fine settimana o le mete di divertimento di massa.
Chi ama il treno, la montagna, il lago, il mare delle isole greche meno frequentate, la quiete dei monasteri, i locali più nascosti e i cinema d’essai difficilmente in cuor suo non proverà un po’ di pena per le migliaia di bagnanti stipati in una piscina dell’AcquaPark, ma chi può permettersi di giudicare i gusti altrui?
L’importante è non sentirsi obbligati a conformarsi a ciò che la maggior parte delle persone ritiene “giusto” e che tende a diventare un dicktat. Credo che molti non si sottoporrebbero al tour de force del week-end se non avessero paura di sentirsi “strani” o semplicemente di avere un po’ di tempo per pensare, per riflettere: forse la maggior parte delle persone ha solo terrore di fermarsi un momento.
I nostri ritmi di vita sono talmente frenetici che trovarsi all’improvviso quieti può spaventare, suscitare un senso di smarrimento. Così si preferisce continuare a girare a vuoto, come criceti sulle nostre piccole ruote. Eppure è proprio affrontando queste inquietudini che si può sperimentare il benessere e la tranquillità dell’animo, arrivando a sentirsi profondamente ricaricati.
21 Giugno 2008 - Scrivi un commento