Poi c’erano le domeniche in cui mio padre mi portava a passeggiare in montagna e i nostri percorsi erano facili, ma bellissimi, tanto che al ritorno mi sentivo felice e rinvigorita come se avessi trascorso una settimana di vacanza.
Anche in città il caos non era neanche lontanamente paragonabile alla bolgia infernale che ci soffoca da una diecina d’anni ad oggi; tutti i pomeriggi e i fine settimana a Roma si andava nei parchi a giocare e a correre all’aria aperta.
Penso ai primi quattro anni di mio figlio: una vita chiusa tra casa, strade trafficate, rumore, inquinamento e code di macchine. A cosa si riduce per lui la natura? Qualche rara mattinata a Villa Borghese, attraversata anch’essa da strade asfaltate e autoveicoli, o a Villa Phamphili; qualche ora ai giardini vicino casa, talmente sporchi e degradati da non potersi nemmeno definire “parco”; ad agosto il mare di Anzio, ombrellone in terza fila. Nient’altro? Purtroppo per molti motivi non ho potuto fare di più.
Ma quanti bambini conducono la sua stessa esistenza claustrofobica e innaturale? Il pensiero che tanti piccoli non abbiano mai vissuto in un ambiente naturale, mai visto un arcobaleno, che non conoscano la campagna, mi stringe il cuore.
Ho letto di recente i risultati di uno studio americano, condotto parallelamente negli Stati Uniti, in Giappone e in Spagna seguendo l’andamento dal 1987 al 2006 di alcune variabili, come l’andamento delle visite a vari tipi di parchi naturali, il tempo trascorso in campeggio o facendo trekking. Ovunque si registrava una flessione significativa – in media dal 18 al 25% - delle attività svolte all’aria aperta.
Secondo i ricercatori, Oliver R.W. Pergams e Patricia A. Zaradic, la biofilia, cioè l’amore per piante ed animali, è stata oggi rimpiazzata dalla videofilia, ossia dalla passione per i programmi che compaiono su uno schermo, siano essi film o videogiochi, contenitori pomeridiani televisivi o siti Internet.
La conclusione era che, se il trend negativo continuerà di questo passo, la sensibilità nei confronti di un ambiente naturale sempre più estraneo non potrà che diminuire, con conseguenze pesanti per la sua conservazione. Senza contare gli effetti negativi sulla salute fisica e mentale della popolazione.
D’altronde come si fa ad amare qualcosa che non si conosce? Il mio bimbo a tre anni conosceva tutte le marche di automobili oggi in commercio e si divertiva ad indicarmi i modelli e le case produttrici mentre camminavamo. Tra me e me pensavo: “Come mi piacerebbe che sapesse così bene i nomi dei fiori, degli alberi, degli insetti...”. Purtroppo nel nostro piccolo mondo quotidiano ci sono tante macchine, ma di piante nemmeno l’ombra.
Lui è cresciuto in questa prigione, come un cucciolo nato in uno zoo e allevato in cattività, ma per me, che so cosa c’è fuori di questa gabbia di anidride carbonica, la nostalgia della natura è spesso talmente forte da farmi desiderare di fuggire, sognando un’altra vita, colorata di verde, giallo e azzurro.
E’ in quei momenti che i mille invisibili fili che ci tengono legati alla città si fanno sentire: affetti, sicurezze, lavoro, casa, tutta un’esistenza costruita faticosamente fin nei dettagli.
Tuttavia recuperare il contatto con la natura è possibile. Sono tanti i gruppi che organizzano escursioni nei week-end, c’è il CAI, ci sono le giornate verdi nei parchi predisposte dal Comune: su Internet, con una semplice ricerca, si possono trovare i programmi di questi appassionati che non si rassegnano a trascorrere i giorni di libertà chiusi nei centri commerciali.
Per i papà e per le mamme la responsabilità è doppia: far vivere ai nostri bambini la natura gioverà alla loro salute fisica e ridurrà il rischio di vederli trasformare in zombie videodipendenti. Anche qui, con un po’ d’impegno, è possibile offrire loro opportunità importanti, dalla partecipazione ai gruppi scout alle gite organizzate dal Comune o da associazioni.