Compromessa da incertezze su fattibilità e costi, la CCS non sarà commercialmente disponibile prima del 2030 e arriverà troppo tardi per salvare il Pianeta da una già annunciata crisi climatica. Al contrario, per stabilizzare la crescita delle emissioni globali di gas serra entro il 2015, così come indicato dagli esperti dell’IPCC, occorre puntare su tecnologie in grado di diffondersi su vasta scala fin da subito. La CCS viene invece utilizzata strumentalmente dall’industria del carbone e dalle aziende elettriche per giustificare la costruzione di nuove centrali a carbone, il combustibile con le più alte emissioni di gas serra.
“La CCS è una semplice truffa” afferma Francesco Tedesco, responsabile campagna Energia e Clima di Greenpeace. “Voler puntare su una tecnologia immatura, ignorando fonti pulite già oggi disponibili, è ingiustificabile. Il compito del Governo e dell’industria è ridurre le emissioni di gas serra, non trovare scuse per continuare a produrle come se nulla fosse. Le Alpi hanno già perso il 40% in massa dei propri ghiacciai”.
Nessun progetto al mondo è oggi in grado di integrare con successo nello stesso impianto le tecniche di “cattura” a quelle di “stoccaggio”, e non esiste alcun esempio di CCS applicata a impianti di scala industriale. I problemi da risolvere sono ancora molti. Il Rapporto di Greenpeace
mostra, infatti, che le perdite in termini di efficienza rispetto a un impianto sprovvisto di CCS sono notevoli, tali da annullare i miglioramenti degli ultimi 50 anni. La CCS potrebbe inoltre far raddoppiare i costi delle centrali, con aumenti nel prezzo dell’elettricità stimati del 20-90%. Una fuga di emissioni pari ad appena l’1% potrebbe invece compromettere qualsiasi beneficio per il clima nel lungo periodo.
“In Italia Enel continua a parlare di ‘carbone pulito’, lasciandoci credere che sarebbe possibile confinare fin da oggi le emissioni di CO2 sottoterra anche se questo è molto lontano dalla realtà delle cose” continua Tedesco. “Se così non fosse, l’azienda abbia il coraggio di non
inaugurare la nuova centrale a carbone di Civitavecchia fino a quandonon sarà in grado di sequestrarne le emissioni di CO2”. Ogni anno l’impianto di Civitavecchia immetterà in atmosfera circa 10 milioni di tonnellate di CO2, mentre l’Italia dovrebbe abbatterne 100 milioni per rientrare nei parameri di Kyoto entro il 2012.
Futili investimenti nella CCS minacciano inoltre di sottrarre risorse per lo sviluppo delle fonti rinnovabili e di iniziative di efficienza energetica, le uniche vere soluzioni per contrastare i peggiori effettidei cambiamenti climatici, così come Greenpeace ha già mostratoattraverso i rapporti “Energy [R]evolution” (2) e “Future Investments” (3). Molti Governi stanno già riversando soldi pubblici nella CCS, e la stessa Commissione europea subisce le pressioni di compagnie energetiche che chiedono di ricevere incentivi per una tecnologia inutile.
Greenpeace è contraria anche alla realizzazione di centrali “predisposte alla cattura” della CO2, in quanto si tratterebbe di impianti che produrranno comunque milioni di tonnellate di gas serra nei prossimi decenni, nella vaga speranza che la CCS possa funzionare in un lontano futuro. Insieme a Greenepace più di 85 organizzazioni non governative e associazioni chiedono che la CCS non venga utilizzata come scusa per costruire nuove centrali a carbone, e che i Governi diano priorità alle fonti rinnovabili.
(1) “False Hope – Why carbon capture and storage won’t save the climate”, disponibile su www.greenpeace.org/italy/ufficiostampa/rapporti/ccs
Sintesi del rapporto in italiano:
www.greenpeace.org/raw/content/italy/ufficiostampa/file/sintesi-ccs
(2) www.greenpeace.it/energyrevolution
(3) www.greenpeace.org/italy/ufficiostampa/rapporti/future-investment
5 Maggio 2008 - Scrivi un commento