Ricominciamo dai sì (Intervista a Carlo Monguzzi)

Dopo il recente cambio di maggioranza di governo, ci si chiede quale sia lo stato di salute dell’ambientalismo e della sua rappresentanza politica in Italia. Carlo Monguzzi, nel Consiglio Regionale lombardo con il Gruppo dei Verdi da oltre quindici anni, fa il punto dopo le elezioni.

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di Stefano Zoja


Quali sono, secondo lei, le principali questioni ambientali che l’Italia dovrà affrontare nei prossimi anni?

Il primo punto è quello dei cambiamenti climatici, ovviamente. Il secondo è l’aria inquinata delle città, mentre la terza è una cosa piccola se paragonata ai grandi problemi mondiali, e che però è sotto l’attenzione di tutti: i rifiuti di Napoli.

Cosa si aspetta dal nuovo governo in materia?

Credo che il nuovo governo tratterà la questione ambientale come corollario di qualche intervento, come abbellimento di qualcos’altro. Credo anche che risolverà il problema dei rifiuti di Napoli, perché a questo punto la soluzione non è più rimandabile: manderanno tutti i rifiuti in Germania e nel frattempo costruiranno, io spero, un termovalorizzatore o apriranno qualche discarica. Sulla questione dell’aria e sui cambiamenti climatici credo che non faranno quasi niente, perché in questo caso bisogna intervenire sul modello di sviluppo, ed il modello del centrodestra è, per l’appunto, sviluppista.

Qual è lo stato di salute dell’ambientalismo in Italia oggi?

Lo stato di salute del movimento è ottimo. Il problema, dal punto di vista della consapevolezza diffusa e della cultura, sta proprio nell’assenza di questo tema dall’agenda politica.

Se si pensa al dibattito culturale in Inghilterra o alla forza di alcuni partiti ecologisti europei, come quello tedesco, all’estero sembra esistere una coscienza ambientale decisamente superiore alla nostra. Ve ne spiegate il motivo?

Ce lo siamo sempre chiesto e qualcosa di questo meccanismo continua a sfuggirci. In Italia va di moda il prefisso “eco”, che si mette davanti a tutto, e l’aggettivo “sostenibile”: qualsiasi cosa in Italia diventa sostenibile. Dietro queste due mistificazioni c’è un’industria che è poco interessata ai cambiamenti, così come il mondo dei servizi. Prendiamo i trasporti: i treni funzionano male e, col passare del tempo, diventano più costosi, più sporchi, così che nessuno lascia a casa l’automobile per utilizzare un servizio simile. La somma di queste realtà fa sì che la mentalità ambientalista non trovi mai degli appigli concreti. Infatti dal punto di vista politico, il partito dei Verdi è spesso la seconda scelta del cittadino; la prima è sempre tutt’altro: le tasse, la sicurezza, l’immigrazione, il carovita. Sono temi sacrosanti, ma la questione ambientale viene sempre dopo, viene vista come un orpello, e un partito che rappresenta un orpello è un partito di nicchia.

Si può pensare a una parola d’ordine semplice per rilanciare la cultura ambientalista?

Noi dobbiamo fare delle cose utili per i cittadini. Il che, semplificato, significa: se dobbiamo respirare aria pulita, abbiamo bisogno che chi può non utilizzare l’auto la lasci a casa. E per farlo deve avere un mezzo pubblico alternativo, se non c’è questo non c’è speranza.

Per descrivere i Verdi ultimamamente si è diffusa l’idea del partito “dei no”, vi riconoscete?

Personalmente rifiuto l’etichetta, così come, credo, i Verdi milanesi e lombardi, di cui faccio parte. Io ho fatto l’assessore nel 1993 e abbiamo avviato il percorso che ha portato la raccolta differenziata in Lombardia dal 3% al 44% attuale. Abbiamo fatto il primo piano di risanamento dell’aria, ho autorizzato personalmente l’inceneritore di Brescia che è stato descritto come il migliore al mondo. Noi siamo per l’ambientalismo dei sì. Poi purtroppo bisogna dire anche dei no, perché se si propone un’autostrada sbagliata, noi dobbiamo dire che il problema del traffico è già su livelli intollerabili e che la nuova autostrada non sarebbe una soluzione.

Dobbiamo proporre un’alternativa, e noi questo lo abbiamo sempre fatto. Purtroppo nell’immaginario collettivo veniamo percepiti in tutt’altro modo, e questo è per metà responsabilità del nostro gruppo dirigente nazionale, compreso il nostro ministro (Pecoraro Scanio ndr.), che si è incaponito in alcuni no assurdi, e per l’altra metà della stampa che spesso è una vil razza dannata. Lei ora mi sta chiedendo questioni di contenuto, ma spesso i suoi colleghi vogliono la battuta rapida. Le faccio un esempio banale: a Milano vogliono costruire un secondo inceneritore.


Un impianto per il compostaggio
Noi non siamo ideologicamente contrari agli inceneritori: se fosse utile non ci sarebbe nessun problema, una volta trovato il posto, la tecnologia valida e convinti i cittadini. Però a Milano è più utile fare la raccolta differenziata del rifiuto umido, che è il 30% del totale. Noi diciamo: se fate la raccolta differenziata dell’umido e, come chiede la Coldiretti, questi rifiuti, debitamente compostati, vengono messi nei campi, risolviamo il problema del surplus dei rifiuti. E a questo punto non ha senso fare l’inceneritore. Però cosa esce sui giornali? “I Verdi dicono no all’inceneritore”. E questo ci uccide, perché i Verdi passano come quelli del no all’inceneritore, no alla Tav, no al Dal Molin e no a tutto quanto.

Qual è la linea di confine fra i sì e i no?

Io vorrei che i Verdi fossero il movimento – e, per chi ci crede, il partito – dei sì intelligenti e dei no motivati. Penso che quando un no è motivato si debba dirlo.

Ritiene che la “sindrome Nimby” in Italia sia su livelli fisiologici o patologici? (sindrome Nimby, dall’espressione inglese “not in my backyard”, che allude al fenomeno di rifiuto diffuso di accettare la costruzione di nuove strutture, spesso pubbliche, in prossimità della propria comunità o proprietà privata ndr.)

Assolutamente patologici. E aggiungo: la sindrome Nimby è la cultura che governa l’Italia. Per motivi complessi, che passano dalla televisione, all’edonismo, all’egoismo, succede che i cittadini ormai non vedono più la soluzione collettiva dei loro problemi. Infatti non c’è più fiducia in partiti, sindacati, istituzioni. Così ognuno cerca di risolvere il problema a suo modo, magari attraverso scorciatoie o chiedendo favori. E nessuno è più disposto a fare un piccolo sacrificio per la collettività.

Mettiamo in fila qualche sì e no su alcune importanti questioni irrisolte. Primo: l’approvvigionamento energetico in Italia e l’ipotesi di un ritorno al nucleare.


Una centrale nucleare
Noi dipendiamo dall’estero per la questione energetica, sia per le materie prime come il gas e il petrolio, sia con l’importazione diretta di energia elettrica, prodotta attraverso il nucleare dalla Francia e dalla Svizzera. Se vogliamo evitare questa situazione dobbiamo rispondere con un mix d’interventi. Il primo è l’utilizzo razionale dell’energia. Se per scaldare l’acqua si utilizza lo scaldabagno elettrico, si compie una follia energetica. Se invece, senza nemmeno arrivare ai pannelli solari, si utilizza lo scaldabagno a gas, c’è un rapporto di efficienza energetica di 1 a 3. Poi c’è il risparmio energetico.

Nessuno chiede di utilizzare le candele: a me piace vivere bene, e mi interessa che lo facciano tutti. Se però invece di una lampada comune, posso utilizzare quelle a risparmio energetico che fanno la stessa luce, o il frigorifero a risparmio energetico, o i vetri doppi al posto di quelli singoli, ci guadagnamo tutti.

Gli studi che ha fatto l’Assoedilizia, che non è certo un’associazione ambientalista, dimostrano che con interventi di diagnosi energetica degli edifici, attraverso i doppi vetri, la coibentazione dei muri, le solette sui tetti si ridurrebbe il consumo di energia per il riscaldamento della metà. Meno spese e meno inquinamento: questo è un formidabile esempio di risparmio energetico.

Terza questione: servono delle centrali di produzione, facciamole pure a gas con un ciclo combinato di produzione di energia e di calore. Certo le centrali di fronte a casa non entusiasmano nessuno, facciamo solo quelle che servono, facciamone il meno possibile, ma quelle necessarie costruiamole. E poi aggiungiamo un po’ di energia alternativa: eolico e solare.

L’Italia ha una densità di pannelli solari pro capite che è un quarantesimo dell’Austria, è un dato incredibile. In Spagna c’è un nuovo regolamento edilizio, che vale per l’intera nazione, secondo il quale tutti i nuovi edifici o quelli che vengono ristrutturati devono montare dei pannelli solari.

Con questa ricetta il nucleare non serve. Di per sé non avrei niente contro il nucleare, però ci sono tre condizioni a cui penso. Le centrali devono essere sicure. Quelle di nuova generazione non sono certo delle baracche come Chernobyl, ma non hanno ancora raggiunto la sicurezza necessaria. Secondo: l’uranio lo compreremmo comunque dall’estero e quindi non risolveremmo il problema della dipendenza. Infine c’è la grossa questione delle scorie. Il problema non esiste solo in Italia: in tutto il mondo le scorie vengono stoccate o in luoghi provvisori, o addirittura vicino alle centrali. In giro per il mondo ci sono 250.000 tonnellate di scorie radioattive non sistemate. Questi problemi restano sul tavolo, se un giorno venissero risolti non avremmo problemi. Non è che il nucleare è di destra e il pannello solare di sinistra: vale la cosa più utile a risolvere i problemi.

In quest’ottica cosa pensa dei rigassificatori?

Vanno fatti i rigassificatori che servono. Fra gasdotti o navi gasiere si deve semplicemente scegliere la soluzione tecnicamente più affidabile. Ovviamente il rigassificatore è una struttura ingombrante, che infastidirà la gente: scegliamo i luoghi in cui il disturbo è minore, ma sulla tecnologia non ho assolutamente niente in contrario.

La Tav?

Se per andare da Milano a Bologna anziché un’ora e mezza ci si mette un’ora è meglio, per gli esseri umani e per le merci. Bisogna evitare che la Tav passi dalla camera da letto dei cittadini: fatto salvo questo, perché uno dovrebbe essere contrario alla Tav? L’unico appunto che posso fare è che preferirei destinare eventuali soldi a disposizione ai treni dei pendolari anziché all’alta velocità, ma se ci fossero risorse per fare anche la Tav non vedrei altri problemi.

All’Expo avete detto sì…


Milano ospiterà l'Expo 2015
Si può dire di no al campionato di calcio? I mondiali sono divertenti, basta giocarli in stadi in cui la gente si trovi al sicuro. Per l’Expo ci sono due possibilità: o diventa qualcosa in cui ci guadagnano poche persone e l’ambiente viene devastato, come è successo per Italia 90, quando si sono sparsi in giro degli ecomostri. Oppure i soldi che vengono messi in circolo possono essere utilizzati per migliorare la qualità della vita delle persone: per esempio, a Milano si potrebbero fare due nuove metropolitane, un nuovo villaggio residenziale all’avanguardia per ecosostenibilità – mezzi pubblici, biciclette, pannelli solari, uso razionale dell’energia, edilizia bioclimatica – tutto questo andrebbe benissimo. Starà a chi governa e a chi, come noi, è all’opposizione vigilare sullla direzione che prenderà l’Expo. Ma se pensiamo al momento di incontro di trenta milioni di persone lo trovo del tutto positivo.

Ma su speculazione e cementificazione a Milano è sufficientemente ottimista?

No. (sorride)

I Verdi fuori dal Parlamento, come vi muoverete?

Può essere anche un bene. Credo che il gruppo dirigente nazionale dei Verdi abbia sbagliato quasi tutto, quindi noi – col metodo verde, gentile ma assolutamente fermo – li rimuoveremo. Stiamo discutendo qual è il modo migliore per portare avanti le nostre idee. Non so se si tratterà di un nuovo soggetto ecologista, o se i Verdi confluiranno in qualche altro partito, per ora è abbastanza imprevedibile. Ma noi vogliamo continuare a vigilare sui contenuti di cui siamo portatori e che tutti i partiti sposano a parole, dal Partito Democratico al Popolo delle Libertà, e che però poi nessuno applica.

A sentirla parlare sorge una domanda dal sapore quasi leghista: come Verdi del nord vi siete sentiti trascurati dalla direzione centrale?

Sì, ma questo è colpa sia della direzione centrale che nostra, che fino a ora non ci siamo fatti sentire abbastanza.

23 Aprile 2008 - Scrivi un commento
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