Ma l’onda nera, che intanto prosegue il suo viaggio, rappresenta una gravissima minaccia non solo per gli abitanti dei comuni rivieraschi, ma per tutto l’ecosistema del Parco regionale della Valle del Lambro, del Parco di Monza (il più grande Parco urbano d’Europa e una delle aree naturalistiche-paesaggistiche più belle della Lombardia) e soprattutto del più ampio ecosistema del Po, con danni ambientali a catena per centinaia di chilometri a valle che non risparmieranno nemmeno alcuni siti di interesse comunitario (SIC) presenti lungo il Po.
Le prime a essere direttamente colpite sono le specie acquatiche, pesci, anatre selvatiche, le colonie di aironi che proprio in questi giorni hanno iniziato a nidificare sulle sponde del Po (vedi nota in coda). Sono decine gli animali ripescati senza vita.
In allerta il Centro di Recupero Animali Selvatici WWF di Vanzago, dove già ieri sono stati portati i primi germani reali interamente coperti di gasolio che verranno curati dai veterinari del centro. Purtroppo i danni di questo sversamento si ripercuoteranno su tutta la catena alimentare, con conseguenze che dureranno nel tempo, e si registrano già gravissime conseguenze sul settore agricolo che gravita intorno al sistema fluviale.
Il Lambro è uno dei fiumi più inquinati d’Italia e continua a portare un contributo di veleni insopportabile per il Po. E’ dagli anni 70 che il Lambro è oggetto di “cure”, con investimenti pari a circa 5.000 miliardi di vecchie lire per il suo risanamento.
Nel 1988 era stato istituito un Piano straordinario di bonifica “Lambro-Seveso-Olona” per riqualificare i tre fiumi più importanti e più degradati dell’area milanese, ma il piano non è mai stato realizzato.
Lo stesso piano di tutela delle acque regionale ha rinunciato esplicitamente alla possibilità di un serio recupero del fiume, affermando che sarebbe comunque impossibile entro il 2015 raggiungere il “buono stato ecologico” richiesto dall’Europa con la Direttiva quadro acque, 2000/60/CE. Dopo la dichiarazione di “morte biologica” del Lambro, l’entrata in funzione dei 3 depuratori milanesi ha ridato al fiume una seppur minima vitalità, ma questo non basta certo per salvare la situazione.
Un’ampia azione di recupero ambientale – che preveda tra l’altro il ripristino della vegetazione e delle zone di esondazione del fiume, impianti di depurazione e controlli regolari sui numerosissimi scarichi lungo l’asta del fiume, tenendo in serio conto ogni potenziale fattore di rischio e fonte di inquinamento – consentirebbe di migliorare la qualità delle acque, di mantenere vitale un ecosistema fluviale fondamentale per le attività umane e non ultimo per ridurre il rischio idraulico conseguente alle frequenti alluvioni che colpiscono la zona sud di Milano.
“Alla luce di questo disastro – continua Stefano Leoni, presidente del WWF Italia – il WWF chiede nuovamente alla Regione, come già fece nel 1995 direttamente all’allora neopresidente Formigoni a seguito del censimento dell’intero fiume, di impegnarsi seriamente per definire un piano di gestione del Lambro."
"Solo così si potrà tutelare la qualità delle acque, garantire i servizi che l’ecosistema fluviale è in grado di offrire (non ultimo la protezione dal rischio di alluvioni) ed evitare che si verifichino in futuro disastri ambientali di questa portata.”
Oltre a un progetto nella zona di esondazione del Lambro a San Donato Milanese, portato avanti dalla LIPU con il sostegno del WWF, l’unico esempio di riqualificazione lungo il Lambro è rappresentato dall’Oasi di “Bosco di Montorfano” a Melegnano, voluta negli anni ’90 dal WWF e dalla cittadinanza, che ha ripristinato 4 ettari di terreno incolto attraverso la messa a dimora di alberi e arbusti tipici della zona.
Il WWF si costituirà quindi parte civile nel processo penale conseguente a questo inaccettabile danno doloso, che sta causando la moria della flora e della fauna presenti in questo importante ambito fluviale.
Nota di approfondimento: ecco le specie più a richio
Molte specie ittiche sono a rischio nel tratto di fiume interessato, come il piccolo Cobite (Cobitis taenia bilineata), il ghiozzo padano (Padogobius martensi), la Savetta (Chondrostoma soetta), il barbo (Barbus plebejus) o addirittura specie molto rare come lo Storione cobice (Acipenser naccarii), interessato da recenti progetti di reintroduzione.
Anche tra gli anfibi sono a rischio alcune popolazioni dell’endemica Rana di Lataste (Rana latastei) e del raro Pelobate fosco (Pelobates fuscus insubricus) presenti nei siti d’interesse comunitario (SIC) lungo il Po, ovvero il Lancone di Gussola, lo Spiaggione del Po a Spinadesco, Bosco Ronchetti e la Lanca di Gerole nel Cremonese oltre che la garzaia di Pomponesco nel mantovano verso cui la macchia nera si sta inesorabilmente dirigendo.
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