Compiuti 22 anni riesco, finalmente, a racimolare abbastanza soldi per permettermi un viaggio del genere. In Messico avrei trascorso un mese: all'epoca mi sembrava il minimo indispensabile per un viaggio degno di questo nome. La penso ancora così, solo che da quando ho cominciato a lavorare viaggiare per un mese è diventato un sogno, altroché.
Il mio itinerario mi ha portato da città del Messico, fino al Chiapas, che mi ha letteralmente incantato. Premessa: non sapevo quasi nulla di Marcos, dell'Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale e lotte indigene.
Il mio è stato quindi un rapimento spontaneo, che si impossessa sempre di me quando visito un luogo sperduto, selvaggio e dalla vegetazione lussureggiante. Niente di ideologico quindi.
Non sapevo ancora che la complessità e la ricchezza culturale di queste terre mi avrebbero colpito ad un punto tale da farle diventare il mio soggetto di tesi.
Dopo aver visitato San Cristobal de las Casas, graziosissima cittadina in cui si respira un'aria abbastanza europea, e aver cominciato a familiarizzare con la realtà locale – etnie indigene, diverse confessioni religiose, razzismo, lotte per la terra, rivoluzione e quant'altro – io e il mio accompagnatore (ex fidanzato, per la precisione), decidiamo di avventurarci verso una meta abbastanza estranea ai percorsi turistici tradizionali: i Laghi di Montebello.
Zaino in spalla e guida in mano, saliamo sul pullman che ci porta a destinazione. Se vi dicono che per visitare questi luoghi dovete per forza acquistare un pacchetto turistico non credeteci, non è vero. Basta avere un po' di pazienza e si arriva dappertutto, o quasi. Dovrete solo essere preparati alle continue fermate dei militari messicani, che controllano, appunto, l'eventuale presenza di “sovversivi” zapatisti a bordo. O che perquisiscono i vostri zaini alla ricerca di possibili carichi di droga. Sinceramente non dimenticherò mai la scena del militare che fruga in mezzo alla mia biancheria sporca: il mio sogghigno malefico è stata una piccola vendetta personale per la quarta fermata forzata di fila.
Fra uno stop e l’altro, finalmente riusciamo ad arrivare al parco delle Lagune di Montebello, al confine con il Guatemala, che si estende per 6.022 ettari di bosco di montagna di pino e di quercia. Nominato parco nazionale nel lontano 1959, nella sua area sono state registrate 256 specie di vegetali e più di 100 tipi di vertebrati. Il 18% della sua superficie è occupato da laghi e lagune (circa 60!), i cui colori vanno dal turchese, al verde smeraldo, al nero, con paesaggi a volte surreali: in mezzo a boschi di pino e querce crescono anche felci ed orchidee e altre specie di alberi rari come il liquidambar.
Proprio le piogge hanno determinato lo scioglimento del terreno, che ha fatto assumere a questa zona caratteristiche speciali, in quanto a forma, dimensione e profondità, determinando i nomi dei vari laghi: Laguna Encantada, Esmeralda, Tinta, Perol, Bosque Azul e così via.
Scesi dall'autobus di linea, decidiamo di non pernottare all'ingresso del Parco, ma di spingerci fino al piccolo villaggio di Tziscao, sulle sponde dell'omonimo lago. Dopo aver atteso invano un altro autobus, ci facciamo caricare su un pick-up e arriviamo a destinazione. La prima immagine che mi si presenta davanti è quella di donne che, dopo aver lavato i panni nel fiume si concedono un bagno, rigorosamente vestite, perché la nudità da costume qui è prerogativa da turisti. Poi, meraviglia delle meraviglie, veniamo circondati da uno stormo di bambini, evidentemente incuriositi, che ci circondano facendo dei versi da film dell'orrore. Dopo 5 minuti di botta e risposta, in cui anche noi decidiamo di associarci al coro, facciamo amicizia con le piccole belve e ci sistemiamo nei bungalow di legno adiacenti all'unico albergo del luogo. La gente per strada è molto gentile, ci fermano per fare due chiacchiere, ci spiegano che li siamo vicinissimi al confine con il Guatemala, che loro attraversano spesso per i loro commerci.
Così il giorno dopo decidiamo di fare da noi e noleggiamo biciclette dai ragazzini della scuola. Comincia una delle mie avventure di viaggio più esilaranti di sempre.
Io e il mio ragazzo, Renzo, percorriamo i primi kilometri col fiatone, un po' per la discussione sulle bici, che erano sgonfie e che io avrei voluto noleggiare da un operatore “più proprio”, per così dire, e un po' per la strada, un continuo saliscendi non esattamente ideale per un ciclista non allenato. Ovviamente quando avevamo percorso lo stesso tragitto in macchina c’era sembrato più che affrontabile. Era evidente che avevamo sopravvalutato le nostre capacità.
Sprezzanti della fatica decidiamo comunque di spingerci fino ai laghi più lontani, invece di costeggiare l'unica strada asfaltata, dalla quale si possono raggiungere facilmente i 5 laghi più accessibili.
Quando però ti si aprono di fronte laghi dalle acque turchine con un isolotto in cui crescono orchidee selvagge nel mezzo, la stanchezza se ne va di colpo, lasciando il posto ad una strana eccitazione. Il paesaggio di questo parco naturale si rivela essere veramente incredibile: ogni lago sembra un mondo a parte, si passa da laghi enormi in cui lo spazio sembra dilatarsi verso l’infinito a laghi che sembrano spuntati dal cratere di un vulcano, inanellati fra pareti scoscese completamente ricoperte di alberi, a cui si accede tramite una ripida scaletta che scende a strapiombo verso l'acqua. Decisamente suggestivo e un po' inquietante.
Ma non è finita qui, visto che “le sfighe non arrivano mai da sole” così Renzo buca una ruota della bicicletta. Io penso fra me e me che è una punizione divina per non avermi ascoltato e non aver scelto le bici giuste. Si ritrova così costretto a caricare la bici su un altro pick-up di salvatori, mentre io, impavida, decido di compiere l'ultimo sforzo: deviare dalla strada principale per raggiungere il mirador i Cinco Lagos e magari avvistare il Queztal, il raro uccello sacro dei Maya.
Purtroppo del quetzal non vedo neanche l'ombra, ma in compenso arrivo al mirador, e la scena che mi si presenta è, bando ai luoghi comuni, da togliere il fiato. I Cinco Lagos infatti sono incastonati fra le rocce e la strada del mirador è una specie di canyon che si dipana fra le montagne. Scorgo anche un'indigena, che si incammina con un cesto pieno di viveri sulla testa verso il villaggio che si trova a circa dieci kilometri di distanza.
Sulla strada del ritorno mi pervade quella sensazione quasi estatica che si ha dopo una piccola conquista personale. Mi capita spesso mentre sono in viaggio e penso che sia, elevata all'ennesima potenza, la stessa che provano gli esploratori o gli alpinisti quando conquistano una meta.
La bicicletta con la ruota bucata era stata nel frattempo restituita al legittimo proprietario, lautamente ricompensato per il danno. Il giorno dopo Renzo si sarebbe recato al paese più vicino per prelevare un po' di soldi. Durante il viaggio avrebbe fatto la conoscenza di alcuni braccianti agricoli, che gli avrebbero spiegato diverse cose interessanti sulla zona e su come i progetti di “Eco-turismo” a volte si prestino a secondi fini, non propriamente nobili.
Ma questo è un altro capitolo della storia. Arrivederci alla prossima puntata.
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