Da Chernobyl in poi, la temuta antipolitica dei Verdi ispirò una inedita mutazione nel corpus legislativo italiano, favorendo l’introduzione – per la prima volta nella storia – di un complesso dispositivo di leggi a tutela del suolo, dell’aria e delle acque. Fu una autentica rivoluzione culturale, i cui contenuti vennero sostanzialmente e gradualmente assimilati dal Parlamento della Prima Repubblica, che li utilizzò per adeguare il profilo normativo italiano, in materia ambientale, a quello di alcune tra le più avanzate nazioni europee.
Prima ancora dell’implosione degenerativa dei Verdi, poi impantanati anch’essi nelle logiche di potere della politica tradizionale, la “rivoluzione” verde, quella primigenia, osteggiata al suo nascere e bollata come antipolitica, vinse la sua battaglia. In palio non c’era l’exploit elettorale di una singola formazione politica, ma il miglioramento generale della qualità della vita: un risultato democratico, trasversale, da condividere fra tutti i partiti e tutti i cittadini.
In Italia, l’antipolitica è ormai la principale chiave d’accesso al mercato elettorale. Persino Silvio Berlusconi, nel 1994, si presentò come nuovo soggetto politico, antropologicamente estraneo al vecchio regime dei partiti. E il suo più acerrimo avversario, Antonio Di Pietro, è oggi – insieme a Bossi – il dominatore della borsa elettorale; l’erede di Mani Pulite sfoggia un elevato potenziale di rottura, che da più parti viene definito antipolitico, accanto a quello dell’ultimo rumoroso alfiere dell’antipolitica italiana, Beppe Grillo.
Se dunque una quota consistente dell’elettorato italiano affida il proprio consenso alla cosiddetta antipolitica, viene da domandarsi se la sola e vera antipolitica non sia piuttosto quella contro cui i presunti antipolitici si battono. Anche le espressioni oggi meno rilevanti sul piano elettorale, come il partito comunista di Paolo Ferrero o il partito radicale di Marco Pannella, si sono sempre qualificate come alternative rigorose rispetto all’establishment, rappresentato dal sistema dei partiti maggiori. Facendo un calcolo arbitrario delle forze in campo, calcolo non politico ma meramente aritmetico, si scoprirebbe che oggi la cosiddetta antipolitica ha un peso elettorale sempre più importante, accompagnato dalla consistenza sempre maggiore dell’area dell’astensionismo.
La storia degli ultimi trent’anni lo conferma: nei momenti di maggiore crisi, è proprio l’antipolitica a dettare i suggerimenti più utili; dapprima sono accolti con sufficienza e diffidenza, ma finiscono poi con l’essere accettati e, almeno in parte, assimilati. Il sequestro del futuro rappresenta oggi l’angoscia maggiore: il futuro, semplicemente, non viene più neppure percepito come prospettiva dotata di una fisionomia precisa. La politica, quella dei partiti principali, è più che mai incerta, alle prese con vecchi rimedi, sempre meno efficaci. Tocca ancora una volta all’antipolitica il compito di riformare la politica? Naturalmente, è questione di termini: stando all’alfabeto della politologia italiana, uno come Barack Obama può essere certamente considerato di gran lunga il più pericoloso degli antipolitici in circolazione.
Tutte le Battaglie di Beppe Grillo
Un percorso di due anni di vittorie e sconfitte nell'italia del terzo millennio e della seconda repubblica.... Continua... |
Obama Presidente
Ii 4 novembre 2008 gli americani hanno eletto il 44° presidente degli stati uniti: un uomo che solo... Continua... |