Allarme dalle aree marine protette

Siamo in un sistema protetto che rischia di affondare. Mancanza di risorse, carenza di sorveglianza e scarsissima “cultura del mare”: ecco i “nemici” delle Aree Marine Protette, che denunciano “lasciate sole nel tentativo di salvare il Mediterraneo”

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Area marina protetta delle Cinque Terre - Foto tratta da www.parks.it
Tra scandalo rifiuti, tassi di inquinamento sempre in crescita e una coscienza ambientale che non è certo tra le sviluppate d’Europa, in Italia un punto di eccellenza in ambito di tutela dell’ambiente c’è: quello delle Aree Marine Protette. Nate grazie ad una legge del 1982, ad oggi ne sono state istituite ben 28 (con l’obiettivo di arrivare a 52), contro le 3 aree marine presenti ad esempio in Francia o 18 riserve istituite in Spagna. Tradotto in “numeri”, in Italia vengono tutelati oltre 200 mila ettari di mare e più di 700 chilometri di coste (circa il 10% delle coste italiane), e a loro è affidata la protezione/conservazione della biodiversità, di cui il Mediterraneo è particolarmente ricco (10.000-12.000 specie marine, di cui 8.500 di fauna macroscopica e 1.300 vegetali).

Ma se sulla carta il sistema Italiano è il più avanzato a livello internazionale, qual è il reale stato delle AMP? Nella pratica le cose non sembrano andare molto bene, come confermano i responsabili delle AMP ed esperti dell’ambiente e della sua tutela. Poco o nessun sostegno da parte delle Istituzioni, una legislazione che inizia ad essere “vecchia” e che non è mai stata veramente attuata, risorse che diminuiscono di anno in anno, per arrivare alla mancanza di una vera cultura dell’ambiente da parte di quei milioni di persone che ogni anno visitano le AMP e scelgono come meta delle loro vacanze il mare.

Questo è quanto emerge da uno studio "La conservazione del mare e della biodiversità, quali prospettive per il futuro?" promosso da BocconiTrovato&Partners in occasione di Park Life 2008, la fiera dell’ambiente che si tiene in questi giorni a Roma, attraverso 80 interviste ai responsabili delle Aree Marine Protette italiane e ad esperti di ambiente e della sua tutela.

La legge che le ha istituite? Rivoluzionaria, ma per 6 esperti su dieci è “rimasta lettera morta”, tanto che oggi le AMP italiane sono a “rischio collasso”.

Il 73%, infatti ammette che per quanto riguarda il “numero” di AMP istituite e il progetto di tutela varato con la legge del 1982, la situazione Italiana è una delle migliori a livello internazionale. Malgrado ciò ben il 58% dice che le aree marine protette e in generale la tutela del mare sono sull’orlo del collasso. A questi poi si aggiunge il 23% che parla più genericamente di una situazione difficile.

Ma quali sono i “punti critici”, alla base dell’allarme lanciato?

Di fatto ben il 61% concorda sul fatto che in Italia manca una vera politica di tutela del Mare, con obiettivi precisi da perseguire e risorse per farlo. Secondo il 55%, infatti, l’attuale sistema che prevede che le risorse per le AMP vengano stabilite dalla Finanziaria, impedisce ogni tipo di programmazione e gestione (come è accaduto con l’ultima Finanziaria, dove ad un aumento delle AMP è corrisposto un taglio di fondi), tanto che c’è chi parla persino di rischio fallimento.

Estremamente complesso anche l’aspetto delle “competenze” (47%): manca un unico organismo di riferimento e di controllo.

Quali sono allora gli interventi indispensabili che dovrebbero essere attuati per evitare che le AMP italiane “collassino”?

Prima ancora che finanziamenti adeguati (tema indicato dal 23% degli intervistati), gli esperti ritengono che il futuro delle AMP e della tutela del mare non possa che passare attraverso una struttura “fissa” e definita (27%), per poter offrire servizi e interventi che concilino le esigenze di tutela con la possibilità di sviluppo del territorio e della sua economia. Fondamentale, per il 21%, la creazione di una cultura del mare, ma anche una normativa chiara, che venga veramente attuata e che regoli aspetti fondamentali legati al mare, al suo utilizzo e la sua tutela (17%).

E per quanto riguarda l’atteggiamento dei visitatori e degli italiani in generale?

Secondo l’87% degli intervistati, infatti, da parte degli italiani c’è ancora poca informazione e pochissima cultura del mare. Ben il 73% dice che mentre quando si parla di “territorio” o di “aria” sono ormai in molti ad avere le idee chiare e ad impegnarsi per tutelare la natura, lo stesso non vale quando si parla di “mare”. Secondo il 55% degli intervistati, infatti i comportamenti a rischio o addirittura scorretti, non sono quasi per nulla diminuiti quando si tratta di mare e di coste, mentre ciò sta avvenendo per la terra ferma.

Ma quali sono allora gli atteggiamenti “dominanti” tra i visitatori delle aree marine protette?

Secondo il 69% a dominare è la superficialità: molti sono troppo pigri per seguire le regole. A questa si aggiunge il “disinteresse” (54%), ma c’è anche chi preferisce definirlo “egoismo” (35%), ovvero non rinunciare a nulla in favore della tutela dell’ambiente.

Quando poi si parla di comportamenti concreti, l’elenco di quelli che causano danni al mare sembra infinito: a partire dall’ormeggiare dove non si può (77%), causando gravi danni alla posidonia e in generale ai fondali, l’utilizzo di motori inquinanti (71%), la raccolta di sabbia, conchiglie o altro (64%), per arrivare all’abbandono di rifiuti (58%) e alla pesca di specie tutelate (52%). D’altra parte secondo quanto riportano gli esperti, sono pochissimi ad essere a conoscenza del ruolo e del compito svolto dalle aree marine protette (come sottolinea il 41%) e ancora meno a seguire le più elementari regole di condotta alla base della tutela dell’ecosistema marino.

Quali sono gli strumenti per cambiare questa situazione che ogni giorno mette a rischio l’ecosistema marino?

Su questo non sembrano esserci dubbi e al primo posto serve un vero programma di educazione alla tutela del mare (92%). Dalle “settimane blu” alla creazione di master e musei: servono interventi decisi e centralizzati, ma da soli non bastano. Secondo l’86% servono strutture e servizi che consentano di “vivere” nel modo più corretto il mare delle AMP, soprattutto per trasformare la cultura di chi in quei territorio vive e lavora e che spesso vede le aree marine protette come un danno. Servono servizi e interventi per consentire una accessibilità sempre maggiore, ma a impatto zero (78%), dalle imbarcazioni a basso impatto ambientale ai gavitelli di ormeggio, per arrivare agli accessi al mare veramente “accessibili” per tutti. Per il 67%, poi, serve la creazione di una vera e propria rete di servizi e strutture, così da realizzare offerte turistiche vantaggiose e valorizzare il territorio che ospita le AMP. Di fatto poi, parlando di un sistema “delicato” come quello del mediterraneo, è necessario pensare anche a vincoli e limitazioni (58%), non con l’obiettivo di “chiudere” il mare e le AMP, ma di preservarlo, limitando l’inquinamento (basti pensare che in un anno nel solo canale di Sardegna transitano in media 240.000 imbarcazioni). Infine, secondo molti degli esperti (42%), tra gli interventi che andrebbero fatti con maggior urgenza c’è la creazione di un Ministero del Mare.

“In un paese come l’Italia, con oltre 7500 chilometri di costa servirebbe un organismo in grado di prendere decisioni, conciliare le diverse esigenze (dal turismo ai trasporti, passando per la pesca e arrivando alla tutela della biodiversità) e coordinare gli innumerevoli organi a cui oggi questi compiti sono demandati. – sottolinea Rosalba Giugni, Presidente di Marevivo - Insieme alla creazione di una vera cultura del mare, la creazione di un unico organismo di riferimento, in grado di agire concretamente rappresenta il passo fondamentale per garantire un futuro al Mediterraneo e alle AMP italiane”.

5 Marzo 2008 - Scrivi un commento
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