Sta per concludersi a Roma, nelle sale del campidoglio, la fortunata mostra dedicata a M.C. Escher, artista olandese che visse e viaggiò in Italia durante gli anni trenta. "L'Occhio di Escher", questo il titolo dell'esposizione, non vuole limitarsi a dare dell'artista la consueta immagine che tutti conosciamo. Così, oltre alle celeberrime figure impossibili, alle funamboliche scale che si sovrappongono e si intersecano, agli spazi che si ribaltano e si districano in labirinti al limite della confusione mentale, allo spettatore vengono presentati paesaggi e vedute di Roma e dei luoghi che Escher visitò ed amò durante il suo soggiorno in Italia.
La pace e la pacatezza di queste opere contrasta fortemente con la cervellotica ricerca geometrica delle prime: il tratto si fa più fine e sfumato, la ricerca del particolare non mira più a creare uno spaesamento fra l'impossibile e il quotidiano, ma segue la linea dei ricordi e della nostalgia, della tranquillità che si assapora davanti alle bellezze di un paesaggio collinare. La costruzione degli elementi paesaggistici, però, ci fa tornare al mondo astratto e funambolico dell'artista, nel disegno, ad esempio, delle pietre, scolpite geometricamente, o nel rigore delle architetture. La perfetta padronanza delle tecniche della litografia e della xilografia da parte di Escher rende piacevoli anche certi scorci un po' da cartolina che perdoniamo volentieri al forestiero che, abituato alle piatte distese olandesi, vuole immortalare la bellezza della scogliera tirrenica, o delle cupole romane.
L'allestimento della mostra, contrariamente alla validità dei contenuti, rivela pessime sorprese. I locali, piccoli e caldissimi, non rendono giustizia alla spettacolare locazione del museo. Nemmeno un vetro è stato risparmiato dai riflessi dei neon, rendendo a volte illeggibile l'opera sottostante che, invece, per sua natura richiede una certa pulizia ed attenzione. Un discutibile fondo di un azzurro, sebbene distenda un po' lo spazio, abbrutisce i neri ed esalta ancora di più l'ingiallimento delle pagine stampate. Scandalose infine le didascalie che sono, in alcuni casi, grossolanamente sbagliate.
In conclusione la mostra è piacevole, sia per gli appassionati di Escher, che ne scoprono inaspettati risvolti artistici, sia per chi lo sincontra per la prima volta. Eppure, dato il successo ottenuto e l'importanza dell'evento, ci si poteva, e ci si doveva, certamente aspettare qualcosa di meglio.
Amare l'arte è benessere
|
|