Le telecamere sono truccate, nel senso che danno un’idea del corpo del tutto falsata. Chiunque entri in un’inquadratura televisiva ingrassa automaticamente dai cinque ai sei chili. Non sono mica pochi, se consideriamo la fatica che si fa per perderne anche solo la metà. Con cinque-sei chili in più cambia il volto, l’espressione, si dimostra un’altra età. Insomma, specie per le donne, una vera tragedia. Ed è per questo che le modelle non ci fanno poi tanta impressione.
Perché non le vediamo mai ‘dal vivo’. Se anche questa Silvia non sembra poi l’anoressica raccontata dalle sue compagne di concorso è colpa della telecamera. Non si potrebbero modificare, non si potrebbe migliorare qualcosa nel mezzo tecnologico invece di costringere le persone a stare sottopeso per sembrare ‘normali’? Una soluzione talmente facile non dovrebbe essere sfuggita a chi fa spettacolo da decenni.
Eppure il mondo della moda e quello della tv non si piegano alle lamentele, alle sollecitazioni, alle proteste di chi non vuole morire dietro le quinte…era successo l’anno scorso alla modella uruguaiana Luisel Ramos, morta durante una sfilata a soli 22 anni: arresto cardiaco dovuto a disturbi dell’alimentazione. Di anoressia si è tornato a parlare in questi giorni anche per via della campagna pubblicitaria che Oliviero Toscani ha realizzato per la linea d’abbigliamento No-l-ita.
L’abbiamo visto tutti, quel fantasma di ragazza che campeggia gigantesco lungo le tangenziali intasate dal traffico, dietro ai semafori, mentre andiamo al lavoro. Fa senso no? Eppure manca un’immagine su quel cartellone, che davvero potrebbe scioccare e riempire gli occhi di dolore. Manca una foto della stessa ragazza qualche anno prima.
Non è solo un volto ‘anonimo’ che ci guarda dall’alto della pubblicità, non è solo una delle tante ragazze che non riescono più a mangiare, a volersi bene. La modella in cartellone è Isabelle, ha 27 anni, è nata a Parigi. Sul suo blog non c’è neanche una foto in cui pesi più dei 31 chili attuali su 165 centimetri. Ha gli occhi azzurri, i capelli rossi, e un curioso spargimento di lentiggini sulla pelle chiara. Chissà se si trova bella.
In questi giorni tanti articoli di giornale offrono storie toccanti di molte ragazze che da anni convivono con questa malattia. Non so se si possa chiamare così: forse è solo un pensiero, un desiderio di morire a questa vita per non poterne avere una diversa, in cui sentirsi ‘giuste’, migliori, o il tentativo di spingere la sopravvivenza ai limiti del possibile.
Soprattutto sarà la tentazione di non voler cambiare niente, di restare immobili, arretrando fin dove è possibile, a tenere tante ragazze lontano dal cibo. Perché il cibo, come l’amore quando c’è, fa cambiare le cose, porta verso altre forme.
Accade alle adolescenti quando diventano donne e mettono carne sul torace e sui fianchi; accade alle donne quando aspettano un bambino e la pancia si gonfia come un pallone. Accade sempre alle donne. Loro, più di chiunque altro, sentono come la vita e i legami passino attraverso il corpo.
E magari bisognerebbe ricominciare da questo a ricostruire: da una ‘cultura’ sociale che non le spaventi con modelli inaccessibili, che le recuperi a una dimensione più umana dell’esistenza, che promuova l’idea di un amore di alta qualità, fatto sempre su misura, qualsiasi taglia si porti.
Capire, criticare, divertirsi, non assuefarsi è benessere
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