Tale rogito, insieme alla sua registrazione in Italia il 27 febbraio 2006, a quella presso l’ambasciata italiana a Dar Es Salaam il 12 dicembre 2005, e ad un accordo in tal senso che Lilanga aveva già sottoscritto con Faccenda e Parri il 7 maggio 2005, sono stati resi pubblici sul sito di Exibart (Quelle sculture sono tutte autentiche), per altro accusato di calunnia e diffamazione nei confronti degli organizzatori della mostra.
Secondo tali documenti, dunque, ogni opera di George Lilanga che compaia in Europa o Asia che non sia corredata dalla foto dell’autore ritratto in presenza dell’opera stessa o che non possieda certificato di autenticità fornito dagli esperti della National Gallery di Firenze può non essere autentica.
Un’altra problematica, che certo non aiuta a fare luce su quella dell’autenticità delle opere, riguarda inoltre il catalogo che accompagna la mostra. Secondo quanto afferma Miclet nella sua lettera: l'unica attestazione ufficiale che autorizza la pubblicazione di un catalogo ragionato delle sue opere è stata redatta da Lilanga in favore di Sarenco (pseudonimo di Isaia Mabellini, uno dei massimi specialisti di arte africana, n.d.a.) prima della morte dell'artista.
Miclet sottolinea quindi che gli organizzatori, nel catalogo della mostra (National Gallery Firenze Editore), sospettosamente, omettono di citare le numerose mostre e i numerosi cataloghi consacrati a Lilanga da Sarenco, Enrico Mascelloni e da Miclet stesso, tra cui figurerebbe la più grande monografia su Lilanga pensata insieme all’artista quando era ancora in vita (prima di una collana di Skira, intitolata “African Collection”, uscito nel 2006).
Exibart, nella prosecuzione della sua indagine, ha incontrato, per dovere di completezza, gli ultimi due personaggi chiamati in causa, Sarenco e Mascelloni: il primo, “pioniere” che ha fatto conoscere Lilanga in Italia, suo agente internazionale per 15 anni e organizzatore delle sue più importanti mostre (Europa, Kenya, Shanghai...) e il secondo, critico d’arte, con cui Sarenco ha quasi sempre lavorato in coppia.
Sarenco si dice certo che il 90% delle opere esposte alla mostra romana sono false e accusa le istituzioni come la Galleria Nazionale d’Arte moderna (di cui il Museo Andersen è una costola) e quindi il Ministero per i Beni e le Attività Culturali di non aver compiuto le necessarie verifiche sulla mostra, ma anzi di averne offerto il patrocinio.
Sarenco afferma inoltre di essere l’unico affidatario da parte della famiglia di Lilanga della gestione internazionale dell’opera dell’artista, attraverso la fondazione Sarenco che ha incluso la fondazione Lilanga.
Mascelloni e Sarenco non risparmiano poi insinuazioni gravissime contro Faccenda e Parri, accusati di collaborare con un belga, Yves Goscinny, autore di un mercato falsario contro il quale lo stesso Lilanga intentò un processo uscendone vincitore.
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