Lilanga, considerato il massimo rappresentante dell’arte contemporanea africana, tanto da essere soprannominato il “Picasso d’Africa”, è vissuto sempre nella sua terra d’origine in Tanzania (1934 – 2005), ma la sua fama si è rapidamente diffusa negli altri continenti attraverso numerose esposizioni a partire dagli anni ’70 fino all’anno della sua morte.
Ispiratore di Keith Haring, per la sua arte sono stati fatti riferimenti ai graffitisti newyorkesi, ai fumetti, ai cartoons disneyani, a Dubuffet, e già da tempo ha catturato l’attenzione dei collezionisti di tutto il mondo (significativi sono in tal senso i risultati delle aste internazionali).
La mostra romana, organizzata dalla associazione no profit National Gallery di Firenze nelle persone dei collezionisti Marco Faccenda e Luca Parri, e realizzata grazie al Gruppo Triumph con il patrocinio del Ministero per i Beni e le attività culturali e l’Assessorato alle politiche culturali del Comune di Roma, presenta oltre 100 opere inedite, tutte provenienti da raccolte private, alcune delle quali di proprietà degli stessi curatori.
Non molto tempo fa, a sorpresa di tutti, sono “esplose” una serie di polemiche relative all’autenticità delle opere in mostra, che hanno dato l’avvio un vero e proprio “Affare Lilanga”. Nel presente articolo cercheremo di riassumere, con imparzialità e assoluto rigore di cronaca, i vari capitoli di quella che appare una faccenda delicata, ancora lontana dal trovare una conclusione.
L’intera vicenda è stata seguita passo passo dalla testata on line Exibart (www.exibart.com) che, in nome di una corretta informazione, ha avviato un’inchiesta in merito, dando ampio spazio di affermazione e replica a tutti i soggetti interessati, allegando di volta in volta i documenti legali relativi.
La causa scatenante dello scandalo è stata una e-mail, inviata a molte delle redazioni presenti sul web che avevano pubblicato una recensione sulla retrospettiva di Lilanga (tra cui Exibart e Terranauta), da parte di Eric Girard – Miclet, direttore del Centro culturale francese di Dar es Salaam in Tanzania fino al 2004, in cui si segnalava che le opere in mostra a Roma fino al 1° aprile sono quasi tutte false perché fatte dopo la morte dell'artista sopravvenuta nel 2005.
Nella mail mandata alle redazioni, Miclet afferma di aver lavorato con Lilanga personalmente – a differenza dei curatori della mostra in corso, che non l’avrebbero mai incontrato –, di essere stato organizzatore delle più importanti mostre dell’artista in Africa, in Francia e in Italia, e di aver pubblicato i suoi testi su Lilanga sui più noti cataloghi.
Miclet accusa quindi i due curatori Marco Faccenda e Luca Parri di aver lavorato d’accordo con i «banditi» dell’ambiente artistico e culturale di Dar es Salaam per ottenere dei falsi, al fine di trarne profitti considerevoli.
La cosa più ignobile – continua Miclet - è che questi signori si dichiarano gli unici abilitati a certificare l'autenticità delle opere dell'artista, ciò vuol dire, per esempio, che le opere in mio possesso, acquistate direttamente da Lilanga, sono false e che i falsi dei sopradetti sono veri.
Gli organizzatori della mostra del Museo Andersen non hanno perso tempo a replicare, affermando di essere in possesso di tutti i documenti che attestano la paternità di Lilanga delle opere in
mostra e avviando a loro volta un’inchiesta contro Miclet, a loro dire il reale truffatore della vicenda.
Inoltre, a mezzo di un comunicato stampa, la National Gallery di Firenze, presieduta da Marco Parri e Luca Faccenda, ha reso noto che l’attacco all’autenticità delle opere attualmente esposte è del tutto infondato in quanto Faccenda e Parri sono gli “unici” depositari dell’autenticità delle opere di George Lilanga in base al rogito notarile, redatto in swahili e inglese, sottoscritto il 10 giugno 2005 in Tanzania da George Lilanga di Nyama a dal figlio Koster nel pieno possesso delle loro facoltà.
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