"Cos'è lo sguardo? E' qualcosa d'inesprimibile. Nessuna parola esprime, neanche lontanamente, la sua strana essenza.
Eppure lo sguardo esiste. Poche sono le realtà che hanno un tale livello di esistenza. Che differenza c'è fra occhi che possiedono uno sguardo e occhi che ne sono sprovvisti? Questa differenza ha un nome: si chiama vita. La vita inizia laddove inizia lo sguardo. Dio non aveva sguardo."
Queste frasi sono tratte da "Metafisica dei tubi" di Amélie Nothomb e sono un piccolo esempio di ciò che scrive questa strana creatura che vive isolata senza telefono, internet, televisione o altro contatto tecnologico con il mondo, a parte i libri di cui dice di avere la casa piena...Che siano dunque alcuni di quelli i "Libri da ardere"?
Forse, ma è anche vero quanto debba amare la letteratura chi come lei sembra non avere altro svago e passione.
Certo è che questo ardore non scalda la temperatura della casa dove si svolge la scena.
In un gelido inverno di guerra un illustre professore di letteratura (De Capitani) ospita il suo assistente (Corrado Accordino) e la sua amante, una giovane allieva (Elena Russo Arman).
La situazione d’emergenza innesca meccanismi di sopravvivenza che invertono e modificano ogni rapporto, intellettuale, affettivo, di potere, e stravolgono il senso intimo di ogni gesto, di ogni abitudine.
Il freddo domina la scena, con la sua capacità di paralizzare, di annullare ogni desiderio che non sia legato ad un pur minimo innalzamento della propria temperatura corporea. È Marina, fragile sotto l’apparente spregiudicatezza, a soffrirne di più, e a proporre per prima l’utilizzo della fornita biblioteca del professore come combustibile.
Ma quest'ultimo vorrebbe fare altro per scaldare la giovane, la lusinga, la seduce, la provoca, in un gioco perverso che gli si rivolterà contro, tramutandolo non in un amante, ma solo in una fonte di calore umano per Marina.
Giunti all’ultimo romanzo sopravvissuto alla stufa, non sono più le qualità letterarie ad avere importanza. E il libro rivela tutta la sua valenza simbolica. Rappresenta, infatti, ciò che più identifichiamo con l’umano: il linguaggio, la comunicazione, la capacità di raccontare e ricordare, la voglia di sognare e immaginare insieme ad altri esseri umani.
E allora, dopo l’ultima fiammata, non resta che la grande piazza coperta di neve bersagliata dai cecchini, per aspettare la morte.
Uno spettacolo dal ritmo sorprendente, dove si riesce a ridere e a percepire fortemente la tensione tra gli attori, capaci di generare uno spazio aperto alla simbologia e alla metafora e di farlo abitare dal pubblico.
E questa è cosa rara.
Da non perdere.
Amare l'arte è benessere
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