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BORAT
TITOLO ORIGINALE: Borat
REGIA: Larry Charles
CON: Sacha Baron Cohen
USA 2007
DURATA: 84 min.
GENERE: commedia
VOTO: 5
DATA DI USCITA: 2 marzo

Livia Bidoli

La canzone Born to be wild sottotitola perfettamente questo film di Baron Cohen, conduttore del programma Da Ali G Show che in Inghilterra e non solo sta spopolando. Borat, interpretato da lui, è un giovane del Kazakistan che se ne va in giro per l’America di Bush tra esilaranti battute e interviste impossibili.

Studio culturale sull’America a beneficio della gloriosa nazione del Kazakistan, il lunghissimo sottotitolo del film riassume un po’ genericamente quello che Borat ha come scopo visitando l’America. Provenendo da una piccola nazione poverissima e sperduta in mezzo a tante altre ex-repubbliche socialiste, Borat è una bomba ad orologeria per quanto riguarda i pregiudizi. Nel senso che ne è del tutto invaso, a cominciare dall’antisemitismo, e passando per una grandissima dose di razzismo e misoginia senza pari. In occidente sarebbe condannato su due piedi, in America sembrerebbe avere qualche chances in più.

Borat, ed è evidentissimo all’inizio del film che è la parte più esilarante e meno ripetitiva dell’intera pellicola, è quanto di più lontano dal politically correct di stampo americano. Soprattutto, pensa che tutto gli sia possibile ed è per questo che le sue gag sono incredibilmente esilaranti. Quando si reca in America con il suo regista che lo porta a girare il documentario sull’America, ragione della sua visita, rimane perplesso.

Lui che nel suo paese salutava tutti, non riesce a capacitarsi di come possa risultare fastidioso ad un americano essere avvicinato e sbaciucchiato più volte da un perfetto sconosciuto. E questo è solo il principio. Il clou si avrà quando vede alla tv americana il telefilm di Baywatch con Pamela Anderson, meglio non svelare come prosegue. Solo un piccolo cenno: resterà letteralmente incollato allo schermo.

Però in tutto questo fluire di gag il film non decolla. Se lo spettatore si diverte durante la prima parte, la seconda diventa un refrain e ci si aspetta tutta una serie di battute che Baron Cohen è bravissimo a interpretare, o meglio, a improvvisare, ma che alla lunga annoiano.

I vari incontri, veri, con membri della high-class americana, con il cowboy, con la prostituta e molti altri, diventano nostalgicamente melanconici e tristi perché non apportano originalità. La sceneggiatura zoppica perché troppo improntata alle gag che non scendono al cuore del problema ideologico che c’è dietro Borat, ovvero il racconto di come un orientale (europeo) di uno stato poverissimo, possa guardare all’America, o meglio all’occidente per antonomasia. E così lascia un retrogusto amarognolo, come se tutto restasse sospeso e attendesse la conclusione alla prossima puntata, magari alla tv con l’Ali G Show.



(02/03/2007) - SCRIVI ALL'AUTORE


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