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MAI MORTI. PER UN TEATRO DELLA MEMORIA
Scritto da Renato Sarti e interpretato da Bebo Storti, un monologo prodotto dal Teatro della Cooperativa di Milano. Discorsi e gesti alienati di un vecchio militante fascista schiudono un vigoroso e documentato esempio di teatro della memoria. Prossima replica il 7 febbraio a Melzo (Mi).


Stefano Zoja

Ribolle sotto il bastione delle coscienze, difeso svogliatamente dai guardiani del discorso pubblico. E’ il magma del fascismo, una mentalità più che un’ideologia ormai, che abita le menti di pochi e nascosti personaggi. Un’infezione antistorica, che questo bastione non può più abbattere e allora, spianate le ondate del passato, sceglie la via dell’infiltrazione. Un veleno che cola fra le mura con la stessa speranza di sempre: dilagare nella nostra pianura, confidando nella sonnolenza dei guardiani.

Ma Renato Sarti e Bebo Storti ci porgono questa rinvigorente pillola di memoria, per chi non ha mai saputo e per chi ha dimenticato. Perché l’iprite italiana e fascista ha fatto oltre un milione di morti in Etiopia. Perché ai prigionieri i fascisti spaccavano i denti, strizzavano i capezzoli, schiacciavano i testicoli, ripetevano violenza sulle donne fino a ucciderle. Perché su Piazza Fontana si allunga un’ombra di colore nero. E questi dettagli storici – noi italiani brava gente, che avremmo prodotto un totalitarismo comicamente inefficace – questi dettagli dovremmo mandarli a memoria. Mentre viviamo giornate in cui il revisionismo dei Pansa guadagna cenni d’assenso, Di Canio stende la nerboruta mano verso le folle laziali e il reato di apologia del fascismo subisce l’accusa di anacronismo.

Così Bebo Storti presta corpo e voce per un’ora abbondante a un vecchio nostalgico del fascismo, appartenuto alla X Mas di Valerio Junio Borghese e al suo battaglione dei “Mai morti”. Un uomo sfatto e allucinato, che si detesta prima ancora che apra bocca, quando racconterà, lungo una lenta vestizione, le “vittorie” del fascismo e le sue ingiuste timidezze (“ai funerali di Piazza Fontana si sarebbe dovuto fare il gran botto finale… Lì in mezzo sarebbe bastata una piccola bomba…”). Un piccolo uomo, ridotto al delirio, all’andirivieni ossessivo nella sua cameretta chiusa, in cerca dei suoi paramenti da gerarca fascista.

Cosa farebbe se potesse uscire dalla sua stanza ci chiede implicitamente Sarti, mentre Storti lentamente si veste, con l’ammirevole capacità, sviluppata in cinque anni di repliche, di dominare la nausea che deve suscitargli il suo personaggio. La sensazione di chiuso che offre la scenografia, l’atmosfera malaticcia e stantia di questa camera, incarna l’idea del fascismo oggi: un male nascosto ma vivo. Storti tossisce, sbraita, si irrigidisce e si affloscia: le contorsioni fisiche sono l’eco di una mentalità agonizzante e ancora pericolosa. Soprattutto inumana, come la cantilena inespressiva e strascicata che esce da quest’uomo.

Nel finale il vecchio si rinvigorisce: turgido nella sua uniforme reclama la futura vittoria. E’ attuale il pericolo fascista? E’ una nostalgia folle, o una reale minaccia? I metodi della polizia durante il G8 di Genova sono memori di quelli di Rodolfo Graziani in Etiopia o della X Mas? Difficile rispondere: le vie del fascismo oggi sono ignote e ignorate. Resta sicuramente la rabbia, alla fine dello spettacolo, il disgusto per l’orrore che quasi mai ci è stato raccontato con nitidezza. Si torna a chiamare certe italiche imprese col loro nome: sterminio, tortura, attentato. Eravamo noi qualche decennio fa, sono alcuni di noi ancora oggi. Alla fine dello spettacolo potrebbe restare anche un po’ di paura, assieme alla voglia di discutere e di pensarci, ora che la coscienza è stata scomodata.



(05/02/2007) - SCRIVI ALL'AUTORE


Amare l'arte è benessere

  
  
 
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