Cloverdale, Massachusetts. Steve Finch è un oculista che vive la stagione del Natale seguendo scrupolosamente tutta una serie di tradizioni che la sua famiglia ha ormai imparato a tollerare. L’estasi natalizia dell’uomo viene improvvisamente interrotta quando il venditore d’automobili Buddy Hall si trasferisce, con la famiglia, nella casa accanto.
Una commedia scontata che attraversa tutti gli stereotipi dell’ipocrisia natalizia. Uno di quei racconti hollywoodiani sul tema con il solito plot che, oltre a non far emozionare e tantomeno a far riflettere, arriva ad annoiare nell’ovvietà dei suoi effetti e nella mellifluità del suo finale buonista.
Il classico compitino narrativo svolto copiando, male, il lavoro degli altri: l’introduzione dei personaggi con l’incontro dei due protagonisti che diventa presto uno scontro, culminante in una crisi che si risolve in un imbarazzante happy end. Certo, non tutte le commedie concilianti sul Natale possono essere dirette da Frank Capra, ma, certamente, di film come questo gli schermi italiani potrebbero farne tranquillamente a meno.
Il regista John Whitesell non mette in scena un’idea filmica che sia una, neanche nella mera concatenazione degli eventi narrativi ed il punto cruciale del film è un’improvvisa quanto immotivata volontà di Buddy. Venendo a conoscenza di un sito internet dove si spiano le case dallo spazio tramite un satellite, egli ha l’ambizione di farsi notare a colpi di watt, allestendo una sfolgorante casa-giochi che riluce in un blocco compatto di lampadine.
Questa la causa scatenante i dissidi fra i capifamiglia delle due case prospicienti tra loro. Per il resto una serie di banali ripicche che si susseguono fin dal momento in cui le personalità dei due dirimpettai appaiono chiaramente inconciliabili. Le caratterizzazioni degli altri personaggi sono delle macchiette standard che servono solamente a costruire la smielata riappacificazione familiare con cui si festeggerà il natale nel film.
Non convince affatto l’allusione ad un mondo americano tradizionalista e discreto, rappresentato da Steve, costretto a fare i conti con un rampantismo modernista portato dall’intraprendente Buddy. Alla fine la sintesi ecumenica tra questi due mondi sarà soddisfare il bisogno di affetto e calore familiare rituale che, a prescindere da tutto, non può mancare la sera del venticinque dicembre. Le mogli ed i figli dei due non vogliono altro, e fanno gruppo dall’inizio nel chiedere univocamente un padre che si occupi di loro nell’intimità del focolare domestico.
L’accenno alla differenza dei due mondi dei protagonisti, peraltro costruito evidentemente su luoghi comuni, è sopraffatto quindi dal trionfo dei legami familiari e del vogliamoci bene a prescindere. L’unica cosa che si può salvare del film è l’interpretazione di Danny De Vito che resta nella mente come un simpatico, perfido sbruffone. Per il resto la pellicola appartiene a quel filone filmico che mortifica l’arte cinematografica nelle settimane a cavallo delle festività natalizie.
Amare l'arte è benessere
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