"Mi è stata data la voce come strumento di ispirazione per i miei amici e come strumento di tortura per i miei nemici”
Quattro ottave di estensione al servizio non del bel canto, bensì di una sofferta ricerca dei limiti dello strumento voce della narrazione di temi terribili: l'Aids, il disagio mentale, la guerra.
Non può dirsi piacevole o di facile ascolto la voce della Galas, così come le sue opere non si prestano ad uso di commercio. Frutto forse, questa vocalità esasperata, di un divieto, quello di genitori greci di religione ortodossa emigrati a San Diego, che nel canto intuivano un'espressione artistica peccaminosa.
Il peccato, appunto, o meglio, il concetto insito, è un argomento che turba e affascina la Galas: "Contro chi ritiene la mia arte peccaminosa e il mio linguaggio immondo posso solamente dire: 'Se pensate che vesta i panni dell'osceno, allora sappiate: mi ci sento a mio agio'".
Lunedì sera porterà sul palco “Guilty Guilty Guilty” un concerto di canzoni d’amore tragiche e omicide, ossessive e carnivore. Alcune scabrose, alcune romantiche, ma tutte interpretate dalla sua voce che solo dal vivo (credetemi, esperienza personale…) sanno penetrare nel corpo dell’ascoltatore come raramente succede. Per la maggior parte si tratta di cover, da Chet Baker a Edith Piaf, Marlene Dietrich, Ornette coleman, Screamin Jay Hawkins, O.V. Wright’s, Jonny Cash e Timi Yuro.
Includerà anche una nuova “Rembetika” di Papaionnau e alcune sue composizioni.
Il peccato, nel vangelo deviante di Diamanda Galas, alligna nelle menti degli alfieri del moralismo e dell'ipocrisia, il male, il diavolo sta là dove stanno i codardi, gli uomini spiritualmente impotenti, gli omofobi, chi si ostina a non guardare, chi diserta la realtà. Amen.
Conoscere la forza della musica è benessere
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