Ho terminato da alcuni giorni di leggere l’ultimo romanzo di Andrea De Carlo e nell’accingermi a recensirlo ho aperto a caso una pagina ed ho trovato questo frammento di dialogo. Ho deciso di riportarlo perché ben riassume uno dei piani su cui si svolge la narrazione: quello del thriller politico-religioso usato come espediente per narrare e denunciare l’indifferenza o peggio l’interferenza del Vaticano nella vita di milioni di africani “condannati” a morire di Aids piuttosto che a praticare sesso sicuro.
Molti, comunque, i modi in cui si potrebbe definire questo romanzo: un thriller che è una storia d’amore. Una storia d’amore che è un thriller. Un libro sui rapporti familiari. Sulla perdita di un padre. Sulla difficoltà di riconoscere nel proprio fratello un individuo che ha preso una strada diametralmente opposta alla propria. Sul rifiuto dei valori vigenti nella nostra società. Sull’ipocrisia e la fragilità del mondo dei media, della politica, nonché della vita di tutti i giorni di milioni di noi. Sulle incongruenze e le difficoltà di molta della sinistra italiana.
E poi, sul più classico tra i temi “decarliani”: l’improvviso vuoto che coglie la vita dei suoi protagonisti, consci che tutto ciò in cui hanno creduto fino a quel momento è niente e che solo seguire l’impulso “nel momento” li potrà portare ad attimi di “pura vita”, unito ad un amore-odio per le città (questa volta è Roma lo spazio in cui si muovono i personaggi nella prima parte della storia) vista come aliena, soffocante, puzzolente, angosciante. In una parola disumana.
Ma definire un romanzo è sempre un’operazione parziale e ingiusta. Meglio allora cercare di trasmettere qualche spunto e qualche riflessione.
Questo “Mare delle verità”, non deluderà gli amanti dello scrittore milanese. Lo stile con cui cattura il lettore, infatti, è quello ormai collaudato negli anni. La novità (rispetto alle ultime pubblicazioni) è data dal tentativo di trasmettere contenuti propriamente politici, accanto a quelli più intimistici e personali. Il Vaticano, i mass media e i politici, sono qui visti come un unico grande “leviatano” che muove i suoi smisurati tentacoli per soffocare qualunque barlume di dissenso.
Tutto ha inizio quando “Lorenzo Telmari”, il protagonista delle vicende narrate, viene informato dal fratello della morte del padre. Mi sentivo in colpa per non essere già lì, indipendentemente dal suo tono, eppure non ho resistito a dare un paio di altri colpi con il bastone per liberare gli allori.
Subito emerge la maestria con cui viene descritta la reazione di fronte ad un evento luttuoso. Lo spaesamento che inizialmente ha la meglio. L’assurda contrapposizione tra quanto appena scoperto e il mondo attorno a sé (gli allori), che è ottusamente indifferente a quanto capitato.
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