Un personaggio colto anche in dettagli futili ai fini della trama, già esile e abbastanza piatta di suo, che tuttavia aiutano ad ispessire di verosimili spunti caratteriali la figura di questo pubblico ministero donna che sembra essersi auto-investito del ruolo di paladina, neppure fosse tutto un gioco (di ruolo, appunto).
Ciò non toglie che ci siano interessanti spunti di riflessione: su tutto il rapporto problematico tra la pm e il suo procuratore capo, che si sostanzia in un paio di battute, quando questi invita la donna a non festeggiare troppo gli arresti eccellenti dinanzi ai giornalisti, per non inimicarsi l’opinione pubblica.
Dall’altra parte è abbastanza irrisolto il rapporto tra la pm e il marito; sappiamo troppo poco di lui per poter accettare il suo continuo, sin dall’inizio, atteggiamento di frustrato marito trascurato che senza ragione è sempre scorbutico e, a priori, come stereotipo vuole, incapace di capire le ragioni della moglie e della sua ostinazione nel portare avanti le indagini.
Forse un film come questo, dove si parla di onerosi pegni d’amore per le amanti dei capi, pagati col denaro pubblico gestito dall’azienda privata, potrà colpire la Francia e i Francesi, ma da noi in Italia abbiamo visto nelle cronache dei giornali, da quindici anni a questa parte, cose ben più gravi, tanto pesanti da far affossare nell’indecoroso un’intera generazione di politici.
Pertanto dopo film quali Il Caimano di Moretti e prima ancora Il Portaborse di Lucchetti, questo di Chabrol potrà piacere soltanto a chi si sa accontentare di trovare anche qui l’inconfondibile stile di regia del maestro, ma è comunque poca cosa, in simili circostanze, perché questo film in particolare lasci il segno.
Amare l'arte è benessere
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