Parigi. Nicole, sta cercando un appartamento, un trilocale da coabitare con il proprio compagno, Daniel. La cose però non vanno bene tra loro e lui, che ha abbandonato la carriera militare ed è momentaneamente disoccupato, passa le sue serate a bere confidandosi con Lionel, il barista del locale che frequenta, ormai diventato suo amico di chiacchiere. L’agente immobiliare Thierry, che sta lavorando per la coppia, nutre una simpatia particolare per la sua collega Charlotte, una donna apparentemente fredda e molto religiosa, che diventerà ossessiva ed irresistibile a causa di alcune equivoche provocazioni piccanti. Lei fa anche la badante notturna al padre di Lionel, paralizzato a letto.
Questa deliziosa commedia di Alain Resnais, tratta dall’opera Private fears in public places del commediografo Alan Ayckbourn, è un vero piacere per gli occhi di noi spettatori. L’ingranaggio elegante attraverso il quale i personaggi del film si danno la staffetta nella narrazione, toccandosi l’un l’altro come in un domino, non subisce cali di tensione e di ritmo per tutte le due ore della sua durata e riesce a legare magistralmente e sofisticatamente le varie solitudini, che il grande maestro francese mette in scena - ipnotizzandoci appunto come la regolare e discreta caduta dei mattoncini di un domino, senza frastuono e con simmetrica spinta propulsiva dei vari pezzi -.
Così ogni storia si lega all’altra nella continuità di uno sforzo produttivo che dà come risultato una meraviglia visiva, omogenea qualitativamente in tutte le sue parti, che tocca il cuore e la mente. La cosa straordinaria di questo film è, appunto, come viene messa in scena la solitudine. Raramente si ha il piacere di vedere un film così pieno di rapporti umani e di personaggi che si sfiorano, pur restando ognuno un’isola.
Proprio come confessa Daniel a Lionel, gli uomini hanno bisogno della solitudine ogni tanto e le donne non lo capiscono. Ma è proprio l’ironia, che il regista infonde nei suoi personaggi, e il sapiente gusto di non rendere tutto troppo serioso a fare di questo un film straordinario, che non cade nel solito standard dei film corali melodrammatici.
La solitudine non è stata mai così allegra. La disperazione è sempre dignitosamente contenuta. Raramente ciò che è abituale e monotono è vissuto con tanta allegria e tanta vitalità, com’è il caso dei personaggi del film di Resnais.
Coppie che si stanno lasciando, coppie che si stanno conoscendo, un padre ed una figlia, Gaelle, che, forse, soltanto alla fine riusciranno a capire quanto siano simili nel loro bisogno d’amore. Un barista che ormai osserva il mondo da dietro il suo bancone, senza più avere la voglia di viverlo, alle prese con i fantasmi del suo passato ed il dramma presente di un padre malato da accudire. Ed un bizzarro personaggio femminile che sfoga, con delle perversioni insospettate, tutto il suo bisogno di trasgredire al bigottismo che lo caratterizza.
I rapporti di Charlotte, infatti, prima con Thierry e poi come badante di Arthur, creano delle situazioni esilaranti a causa di contraddizioni estreme tra ciò che lei professa e come si comporta nella sua segreta intimità. E dopo aver turbato la solita routine del bonario Thierry senza scomporsi di un nulla, ella entrerà in intimità di confidenze con Lionel, fino al punto in cui sembra stia per cedere e vivere la sua personalità, con un’altra persona, finalmente per quella che realmente è, ma subito si richiude in se stessa tornando a mettere la maschera abituale.
Questo momento è sottolineato dall’unica licenza registica che l’ottantaquattrenne autore si permette. E la forzatura poetica risulta un meraviglioso espediente per mostrare come le mura delle proprie difese siano cadute e l’inverno del proprio scontento si manifesti liberamente. Ma subito, quando si tocca il cuore della questione, non si ha più il coraggio di mostrarsi per quello che si è, ed il gelo che la neve porta con sé continua a cadere solo fuori dell’appartamento.
Per il resto, la regia ci accompagna sapientemente, avendo la capacità di rendere questo film un piccolo capolavoro ed allo stesso tempo di far scomparire i movimenti della macchina da presa, soffici come la neve che costantemente cade fuori da queste piccole vicende private.
Il film ha vinto il leone d'argento per la miglior regia al Festival di Venezia.
Amare l'arte è benessere
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