Haiti verso la fine degli anni Settanta. Siamo nella località di Porto Principe, un posto per turisti, un classico paradiso terrestre, fatto di spiagge assolate, palme, alberghi per turisti danarosi, e giovani uomini e donne di colore pronti a servire ai ricchi Americani non solo drink, bensì anche il proprio corpo. Questa è la storia di alcune donne sole che hanno sofferto in passato l’abbandono dei rispettivi partner e che ora si ritrovano puntualmente nella stessa località tropicale ogni anno per cercare una personale rigenerazione pagando dei gigolo con regali e denaro perché questi assecondino i loro desideri sessuali e leniscano le loro solitudini.
Ognuna di queste donne ha una storia da raccontare, un suo perché, un movente che solo in parte può fungere da attenuante in merito alla colpa di alimentare un sistema sommerso di sopraffazione e precaria sussistenza economica. Come nota il responsabile del ristorante in cui albergano tutte le protagoniste: un tempo gli americani colonizzavano con la forza militare, ora rifanno lo stesso errore col dollaro.
E viene spontaneo aggiungere che il paradosso in tutto ciò sta nel fatto che in quel decennio in cui sono ambientate le vicende raccontate dal film proprio la tipologia di donne a cui appartengono le protagoniste, ossia le dure e pure femministe degli anni Settanta, così contrarie alla fallocrazia e alla cultura del maschio dominante, al machismo imperante e dannoso, alle guerre perpetrate da ingordi e frustrati maschi al potere, son pervenute con simili condotte a comportarsi esattamente come gli oggetti delle loro battaglie sociali, assimilando di fatto quella forma di cinismo che non si può più scardinare tanto si è insinuata nella personalità di ciascuna di loro.
Ecco che il regista francese Laurent Catet alla sua quarta regia dopo i recenti successi, soprattutto nei festival e da parte della critica, quali Risorse Umane (1999) e A tempo pieno (2001), cambia contesto ma non il proprio piglio sobriamente chirurgico nello scandagliare sotto un punto di vista psicologico tematiche sociali, alla stregua di un etnologo con quelle comunità che fanno mondo a sé.
L’oggetto sessuale che funge da protagonista passivo, conteso tra due donne in particolare, il giovane e orgoglioso Legba, viene presentato dal regista sotto una luce né di totale innocenza né di totale dannazione, semplicemente rappresenta un popolo, una sofferenza che finisce col dividere gli stessi abitanti di Porto Principe; divisi perché ognuno è costretto a cercare a modo proprio la sopravvivenza personale, divisi per via di quella sopraffazione di stampo mafiosa e dittatoriale che una condizione umana di precaria sussistenza innesca e facilita, a maggior ragione se il mondo occidentale letteralmente usa la terra di un popolo e questo medesimo solo come un’egoistica appendice, tra un lusso cinicamente senza morale ed un morboso svago trasgressivo: tanto che le donne a cena ad un certo punto notano che gli uomini di colore le attraggono solo lì ad Haiti e non a casa loro.
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