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CITADEL
Per i cinefili più attenti un doppio viaggio di Atom Egoyan nel Libano di ieri e di oggi, e nei problemi dell'immagine e della sua rappresentazione.

Miriam Giudici

Il Bellaria Film Festival (sezione Diaries and Family Movies) e il Biografilm Festival di Bologna questo mese hanno permesso al pubblico italiano di godere di una piccola chicca: l'ultimo film di Atom Egoyan - regista di False verità, Ararat e Il viaggio di Felicia - che ha avuto una distribuzione limitatissima in Canada, dove vive l'autore, e ancora di più in Europa.

Citadel (2005) è un documentario girato con una mini DV amatoriale, che segue - con uno stile che in superficie sembra "da filmino delle vacanze" - il ritorno della moglie del regista, Arsineé Khanjian, nel suo paese natale, il Libano, dopo 28 anni di assenza.

Attraverso gli occhi dei coniugi Egoyan e le emozioni autentiche di Arsinée esploriamo la nuova Beirut, i luoghi di Khalil Gibran, la Cittadella di Tripoli e antichissimi siti archeologici.

Zero budget, zero attrezzature aggiuntive, nessuna sceneggiatura: il film nasce appunto come semplice video familiare, poi Egoyan decide di montare quel materiale, veri e propri appunti di viaggio, e di aggiungere la sua voce per realizzare una sorta di lettera a suo figlio.

Sul filo dell'improvvisazione seguiamo Egoyan in una serie di riflessioni sulla natura stessa del documentario, sulla potenza e sul significato delle immagini, sul come noi costruiamo o distruggiamo la realtà, su come si può manipolare lo spettatore - che in Citadel fa da vera e propria cavia.

Inevitabilmente il luogo in cui il film è girato, il Libano, porta a un continuo confronto con la tormentatissima storia di quel paese, che ha conosciuto una guerra civile fra le più sanguinose e che oggi è una polveriera dove a fatica convivono religioni diverse.

Particolarmente intenso è il momento in cui Egoyan in visita a Sabra e Chatila si trova a filmare - lui dice casualmente - un cortile dove nel 1982, dopo la strage perpetrata dalle forze filo-israeliane, erano state girate alcune immagini che avevano fatto il giro del mondo.

E a questo punto Egoyan riflette su quanto sia facile oggi trovarsi ovunque con una videocamera (o un telefonino, dico io) a filmare qualsiasi cosa, mentre allora, nonostante Beirut fosse piena di fotografi e reporter, nessuno fu in grado di registrare alcuna immagine in diretta di quella strage, e nessuno riuscì a incastrarne gli autori.

Citadel è un esperimento personalissimo che in certi punti può lasciare perplessi per un eccesso di intellettualismo; ma non si può negare che Egoyan riesca nell'impresa di ammaliare lo spettatore con 93 minuti di immagini sgranate e traballanti, ma che sono veicolo di riflessioni affascinanti.

È certamente una cosa non da tutti rendere interessante il collaudo dell'autofocus della videocamera che passa dalle dita dei piedi del regista a inquadrare skyline di Beirut, eppure Egoyan ci riesce con una semplicità apparente - ma che nasconde un'idea ben solida di come il cinema possa svelare, nascondere o mistificare la realtà.



(19/06/2006) - SCRIVI ALL'AUTORE


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