Folla entusiasta, sala strapiena, code all’entrata: al Bellaria Film Festival la serata del 3 giugno dedicata a Nanni Moretti ha richiamato al cinema Astra una marea di persone, venute ad applaudire il regista del Caimano e a godersi sul grande schermo il primo film della sua lunga carriera.
Compie infatti trent’anni Io sono un autarchico: Moretti lo girò in Super8, “costringendo” i suoi amici a dedicargli il loro tempo libero, e questo film totalmente autoprodotto uscì in sordina in un cineclub romano il 14 dicembre 1976. Fu un successo: il film passò ai cineclub del resto d’Italia, poi al cinema e alla televisione, e diede l’avvio al “fenomeno Moretti”.
Io sono un autarchico è la storia di Michele (Nanni Moretti), giovane abbandonato dalla moglie Silvia insieme a un figlio piccolo: il suo unico modo di occupare le giornate è aggregarsi a un improbabile gruppo di teatro sperimentale diretto dall’amico Fabio (Fabio Traversa).
Fra massacranti “training psicofisici” e prove in cantina si intrecciano le storie dei componenti del gruppo, mentre Michele cerca di riconquistare Silvia e Fabio tenta in ogni modo di convincere un critico teatrale (Beniamino Placido) ad assistere alla prima.
Falliranno entrambi: Michele e Silvia si lasceranno definitivamente e il momento di discussione finale sullo spettacolo promosso da Fabio verrà stroncato dallo storico urlo “No! Il dibattito no!”.
Ma non è il solo momento celebre del film: i dialoghi (e i soliloqui di Moretti) sull’essere di sinistra, su Marx, sul cinema italiano iniettarono una robusta dose di ironia in un contesto culturale che all’epoca si prendeva fin troppo sul serio.
L’autarchia del titolo – dice Moretti – è però soprattutto quella sentimentale del protagonista; anche se poi i critici collegarono la parola sia alle condizioni produttive in cui fu realizzato il film, sia a una rivendicazione di autonomia intellettuale e ideologica del regista.
Bellaria ha celebrato Io sono un autarchico non solo per rendere omaggio a un regista importante, ma anche perché è stato un film che ha aperto una strada che oggi, nell’era del video e del digitale, ha assunto direzioni nuove: “Attraverso quell’esperienza atipica e unica” dice Fabrizio Grosoli, direttore del Festival “è giusto ed utile riflettere su come si possa fare cinema in povertà ed indipendenza oggi”.
E non si tratta di una frase fatta: durante la serata Nanni Moretti, Fabio Traversa, Paolo Zaccagnini e l’autore delle musiche Franco Piersanti hanno ricordato come il film riuscì ad essere portato a termine: la passione e la testardaggine di Moretti ebbero ragione di attori dilettanti, studi di registrazione inaccessibili (le musiche furono registrate “di straforo”, nottetempo, a Radio Vaticana), pagamenti sempre ritardati, costante bisogno di denaro. Alla fine il film costò 3 milioni e 300mila lire, una cifra comunque considerevole per l’epoca.
Un film che ha qualcosa da dire ancora oggi: il fatto che i turisti della riviera adriatica attirati dal nome di Moretti siano rimasti ad applaudire il film anche dopo che il regista aveva lasciato l’affollatissima sala lo dimostra.
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