Il film per Giancarlo Simone Destrero (VOTO 7,5)
Raimunda e Soledad, due sorelle che vivono a Madrid, tornano soventemente nel paese della loro infanzia, nella Mancha, per trovare ed accudire alla loro zia Paula che, ormai sola e malata, è rimasta l’unica ad abitare la casa dove vivevano da bambine e per infiorare e spolverare la tomba della loro madre, morta molti anni prima a causa di un misterioso incendio. Le strane relazioni con i membri della loro famiglia allargata, la morte della zia, un fatto di sangue pseudoincestuoso che coinvolge la figlia di Raimunda, e le sempre più frequenti apparizioni della madre delle sorelle saranno l’inizio di un percorso di ricerca chiarificatrice da parte di queste donne, sul loro passato.
E’ stato coniato il termine almodramma, per sintetizzare lo stile del regista spagnolo. Se per questo s’intende un plot melodrammatico, sviluppato con un certo gusto kitsch e con delle freddure da commedia trasgressiva, possiamo certo annoverare anche questo titolo nel genere. Un genere dove gli unici personaggi, con tutte le loro sfumature, positive e negative, che vale la pena analizzare sono le donne e dove, spesso, i personaggi maschili sono relegati al ruolo di involucri inseminatori.
Anche questo film contiene tutti questi elementi, quindi è, in superficie, in perfetto genere almodramma, eppure riesce grazie a delle sfumature, essenziali in questo caso, a prendere le distanze dalle ultime opere del regista. Intendo dire che, finalmente, sembra esserci meno maniera di Almodovar, e più essenza cinematografica, davanti la macchina da presa.
La struttura del film è più omogenea, compatta, senza gli improvvisi e forzati inserti bislacchi che sembrava dovessero ormai, inevitabilmente, contraddistinguere, sempre e comunque, un film di questo regista. Il destino di questi personaggi, seppur con quotidianità non proprio ordinarie, sembra essere molto più universale, rispetto alle esistenze di bizzarri personaggi ai margini di alcuni suoi film precedenti, e meno locale di quanto la storia, una vicenda inserita nel pieno della realtà spagnola di provincia, non rappresenti.
In alcuni rituali, come il pianto funereo delle donne del paese mancego o tutte le liturgie religiose mescolatesi a credenze popolari, sembra di assistere a delle costumanze dell’Italia meridionale e comunque si è nel pieno di alcune realtà mediterranee.
Non da meno una certa cultura familista, di stampo mafioso, dove i panni sporchi, appunto, si lavano in famiglia. Ed i panni sporchi, come spesso accade nei film di Almodovar, sono i soprusi e gli abusi che gli uomini perpetrano nei confronti delle donne e le disgrazie, nello specifico l’omicidio di Paco, che ne conseguono.
Eppure, stavolta come mai prima nel cinema del regista spagnolo, queste donne, che continuano a vagare, bunuelianamente, su strade sterrate verso un orizzonte indefinito prima del quale, come ultima cosa messa a fuoco, si stagliano netti degli alti mulini a vento, sembrano rappresentare la terrena condizione umana, aldilà delle contingenti differenze sessuali.
Una condizione umana perennemente ferma nell’aldiquà, perennemente ignorante dell’aldilà, al quale, tuttavia, non smette di essere protesa. L’elaborazione del lutto, i rituali onnipresenti in qualunque latitudine, seppur con le proprie particolarità, lo scandalo della morte, ne sono la testimonianza. Ed è da questa situazione umana che muove questa opera del regista ed a cui allude il verbo del titolo.
Gli spettri del passato sembrano tornare, prima o poi, per tutti, nei propri ricordi, nei ricordi degli altri e la verità sembra venire fuori, con il tempo. Un film di continue dipartite e continui ritorni, terreni ed ultraterreni, quantomeno presuntamente, di fatti, di notizie e di persone soprattutto, almeno fino al rivelamento che Irene, la madre che le figlie credevano irraggiungibile nell’aldilà, porterà, improvvisamente, nelle loro vite.
Un film dove la morte aleggia di continuo, leggera, familiare, addomesticata. Ed il parallelo tra l’uccisione di Paco, il compagno di Raimunda -tralaltro presagito cinematograficamente, in un connubio tra eros e thanatos, da un’illuminante inquadratura a piombo su una generosa Penolope Cruz che lava un coltello da cucina- l’attesa di sepoltura del suo cadavere e l’apparizione della madre, che deve attendere il giusto momento per l’incontro con la figlia Raimunda, evidenzia questo continuo scambio tra chi parte e chi torna, anche per destinazioni, o da provenienze, ignote.
Eppure, la paura dei fantasmi e, con loro, di tutto quello che essi sanno svelarci, rimane, in ogni caso, l’effetto di una profonda ignoranza umana ed una sostanziale mancanza di capacità a pervenire ad una qualunque verità, ancorché immanente, per quanto ci si possa sostenere ed aiutare l’un l’altro tra uomini, e lo splendido finale, dove una terrena ma eterea Irene, pur essendosi ormai dichiarata nella sua natura, rimane nell’ambiguità di spettro e di madre per causa di una verità umana che non può mai essere definitiva, lo sottolinea.
Il film per Daniela Mazzoli (VOTO 6)
Volver, Pedro e Penelope… ovvero "Aridatece De Sica"!
Lo so che i film di Almodovar vengono ormai trattati con la reverenza che si deve ai maestri di stile, ai creatori del grande cinema. Almodovar: lui si' che capisce le donne, lui si' che ha qualcosa da dire sul lato tragicomico dell'esistenza. Lui conosce la vita e la morte, e le fotografa insieme proponendole come compagne invece che avversarie, nemiche giurate. E persino le attrici meno dotate in mano a lui tendono a sembrare qualcosa di enorme, diventano evocative. Grande attesa, quindi, e smania di andarlo a vedere questo film, che -tutti dicono- meritava e non ha avuto il premio piu' atteso a Cannes.
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