Emanuela Graziani, 26 anni, è nata a Colleferro il 24 marzo 1980. Fin da piccola, ha avuto la passione per il mondo dei colori, un mondo autonomo rispetto a noi. Pensare per immagini. Ha frequentato, spinta da questo suo bisogno di dipingere più che per passione, l’Istituto d’Arte ma non ha proseguito con l’Accademia delle Belle Arti per paura di un rifiuto o di un fallimento. Quando l’arte non è un passatempo ma un istinto, alla stregua della fame o del sonno, si insinua la certezza che non si possa interrompere. Emanuela non può smettere di dipingere. Non potrebbe farlo neppure se avesse tutti i venti contrari. Non può smettere di dipingere perché sarebbe come chiederle di non pensare più. Di non provare emozioni. Di annullarsi. Di non avere più battiti di cuore. Quando è così vitale un’attività, qualsiasi essa sia, l’eventualità - seppur remota - di un rifiuto diventa un ostacolo monumentale. Dipingere, qui, è la crescita interiore. In tutta la sua potenza e drammaticità. Non è mai facile trovare se stessi. Tanto più se, l’ideale che abbiamo di noi, tende alla perfezione.
Azzurra: La donna come fonte di luce propria come viene intesa a livello simbolico e poi resa a livello pittorico?
Emanuela: A livello metaforico, la luce propria di cui brilla la donna è la percezione dell’elemento luce nella vita. La donna, in quanto forza procreatrice, è la luce nella dimensione corporea, dove il corpo è strettamente connesso allo spirito. La congiunzione tra spirito e corpo avviene attraverso la luce. La donna è la fonte per comunicare al mondo questa luce che sottende ogni vita. L’immagine femminile, al contempo, è materiale e luminosa proiezione dello spirito. Non ci sarebbe luce se non ci fosse la donna come strumento di equilibrio tra spirituale e materiale.
A livello pittorico, invece, il colore è gestito attraverso le sfumature: l’atmosfera luminosa non può essere resa da una pittura piatta. Il corpo femminile è immerso nella luce; prima c’è la luce e dopo c’è la donna, avvolta in questa luminosità. A differenza di quanto accade solitamente in pittura, qui il punto-luce non è un punto da cui si dirama la luminosità della tela, bensì un fascio di luce che prende forma attraverso il disegno. Noi, in quanto esseri umani, abbiamo una doppia realtà di luce ed ombra: gli occhi sono il nostro punto luce. Punto luce che richiede, per essere reso come fonte di luminosità dell’intera struttura pittorica, una vasta gamma di sfumature e il deporre contorni netti.
Azzurra: Come si può rendere attraverso la pittura l’esperienza onirica?
Emanuela: Il mio modo di far pittura viene chiamato onirico e non realista, benché molto figurativo, perché rappresenta immagini evocative. La figura rappresentata, sebbene in tutta la sua plausibilità, viene poi modificata attraverso l’uso del colore e assume accezioni proprie del mondo del sogno.
Azzurra: Cos’è la “realtà altra”?
Emanuela: La realtà altra è un luogo interiore dove confluiscono tutte le esperienze della vita esteriore e la luce. Qui, ciò che è reale, viene trasformato in esperienza soggettiva e muta la sua natura. Da qui, da questo luogo buio che dà vita alla luce delle tele, una figura ne entra come reale e ne esce come esperienza onirica. La realtà altra è curva come curva è la donna e, di contro, rettilinea è la razionalità.
Azzurra: Alla fine di un’opera, per questo suo carattere soggettivo, non hai paura del fraintendimento?
Emanuela: Ho piuttosto paura di non essere in grado di esprimere ciò che sento. Ciò che nasce nella “realtà altra”. E’ difficile riprodurre delle sensazioni e, per quanto mi riesca di pensare solo per immagini, non sono sempre certa di essere all’altezza della missione che il mio inconscio mi affida: spiegare me stessa.
Azzurra: Perché la scelta di riprodurre, perlopiù, volti o corpi femminili?
Emanuela: Dipingere una donna è come proiettare la mia parte femminile sulla tela. Un uomo, in quanto altro rispetto a me, potrebbe essere un completamento di ciò che sono. La donna, invece, è la mia tendenza ad un’immagine di perfezione; le donne delle mie tele sono la rappresentazione di ciò che a me manca e a cui, inevitabilmente, aspiro. Rappresento l’ideale di me stessa, benché io sia perfettamente consapevole che l’immagine perfetta è sempre fittizia. Io rappresento me stessa, o piuttosto il mio ideale, contro voglia.
Azzurra: Se potessi evitare il fraintendimento, apporresti targhette di spiegazioni sotto le tue opere?
Emanuela: No. Dopo aver completato una tela l’opera compiuta non mi piace più. E’ manchevole ed imperfetta. Così, preferisco non prendermene più cura. Di solito, gli altri vedono perfetto ciò che io vedo maggiormente impreciso. Una volta conclusa, l’immagine diventa banale e riavvia il processo di ricerca ed aspirazione alla perfezione formale che porterà alla produzione di un nuovo quadro.
Azzurra: Il quadro è un tuo alterego?
Emanuela: Sì, è l’opposizione continua dei due opposti: io sono una creatura molto notturna ma agogno - nelle mie opere - alla luce. Qualcuno ha detto che per trovare la luce bisogna vivere nell’ombra. La fantasia, come non-realtà, è il punto di incontro e convergenza tra ciò che è fuori e ciò che è dentro di me. Nella fantasia avviene la commistione tra i due opposti: la fantasia è il loro equilibrio.
Azzurra: Cos’è il nuovo linguaggio e a chi è rivolto?
Emanuela: Dalla realtà altra scaturisce un nuovo linguaggio fatto di immagini e colori. Ogni quadro è una lettera di questo nuovo alfabeto. Un linguaggio interiore rivolto a chiunque voglia ascoltare la voce interiore degli altri esseri umani.
Amare l'arte è benessere
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