Dario e il suo esercito sono schierati nella steppa per la battaglia decisiva contro gli Sciti. L’impero persiano verso la fine del sesto secolo avanti Cristo è già sconfinato. Ma Dario, con una scelta che oscilla fra strategia militare e bulimia, ha deciso di assoggettare anche questa misteriosa popolazione nomade. Le due schiere si fronteggiano: immensa, immobile e compatta quella persiana, piccola e irrequieta quella scita. Silenzio e tensione all’aria.
All’improvviso una lepre attraversa saltellando le file degli Sciti, che al suo passaggio cominciano a schiamazzare e inseguirla. Dario da lontano vede la scena e, perplesso, si informa sul motivo di quella confusione. Gli Sciti si sono messi a rincorrere una lepre pochi istanti prima dello scontro. Spaventato dall’indole sprezzante e temeraria degli Sciti, l’imperatore ordina la ritirata e organizza un rapido ritorno in Persia. L’Europa è salva, i Persiani non dilagheranno verso ovest. La storia del mondo è stata cambiata da una lepre.
Erodoto racconta questo episodio nelle Storie, il testo cui Kapuscinski si riferisce di continuo. Sulla precisione storiografica di certi passaggi di Erodoto si può discutere a lungo. Ma il greco è universalmente considerato il primo vero storico. Kapuscinski, uno dei più grandi giornalisti della contemporaneità, lo vede, soprattutto, come il primo reporter della storia. Come può considerarlo tale? Si può prendere alla lettera l’episodio della lepre? E’ solo amore? E’ l’accecamento, il frutto dell’ammirazione sublimata che il polacco prova per il greco dopo pluridecennali riletture delle Storie? Ovviamente c’è ben altro.
Un sentire comune su come funzioni la vita. E il giornalismo che, al suo grado zero, è esattamente il racconto della vita nella sua parte osservabile. Erodoto sa che un evento minuscolo può determinarne di immensi. E’ uno che ha capito le meccaniche più paradossali e riposte dell’essere umano e delle sue vicende. Entrambi sanno cogliere le traiettorie più beffarde, poetiche e, spesso, veritiere dello scorrere delle cose, al di là della superficie. E’ su questo altare che Kapuscinski scorda temporaneamente l’imperativo dell’attendibilità giornalistica. Può essere ritenuto un errore, forse è un omaggio (probabilmente inconsapevole), sicuramente è un riconoscimento. Fra anime gemelle, come Kapuscinski ripete più di una volta.
Ma l’ammirazione per il greco è tutt’altro che ingenua o banalmente sentimentale. Erodoto aveva inventato per sé una cassetta degli attrezzi che farebbe la fortuna – o almeno la professionalità – di qualsiasi giornalista moderno. La sua insistenza nel controllo delle fonti, quando possibile, o la sua prontezza nell’esercizio del dubbio non appena le notizie si facevano fumose o poco credibili, sono punti fermi. Erodoto non era solo mosso dalla curiosità, ma dal desiderio di conoscere nel modo più esatto possibile. Il che, soprattutto duemilacinquecento anni fa, significava viaggiare, recarsi più vicino che poteva ai fatti. Kapuscinski ne parla come se fosse una febbre. Ma di una natura analoga era lui.
Così In viaggio con Erodoto si snoda fra i ricordi distanti o recenti della carriera di Kapuscinski e le pagine più significative del greco, che vengono commentate in un misto di partecipazione e riflessioni. Alla rievocazione del viaggio in India (il primo dello scrittore, che non era mai uscito dalla Polonia), si riconnettono i pensieri sulla parola e sulla vastità della realtà; al soggiorno in Cina si allacciano le osservazioni sulla memoria e le sue alterazioni; a quello in Iran, una riflessione sui punti di vista; mentre in Africa si interrogherà su come trovare e selezionare gli eventi degni di essere raccontati.
E via così, in un intreccio fra i viaggi del polacco, i racconti del greco e le riflessioni generali. Dentro un testo semplice e coinvolgente che non è un saggio, né solo un autobiografia. Non è facile etichettarlo: il filo rosso sono semplicemente gli spunti di Kapuscinski.
Un testo che dovrebbe stare nella valigia di qualunque giornalista abbia deciso di non accontentarsi di una scrivania. Un manuale del reportage con cui dialogare sulla terrazza di una piccola pensione di Dar-es-Salam o nel caos di Pechino. In realtà un libro per viaggiatori di certe specie, che propone coordinate per l’approccio alla diversità. Buone per chiunque sia curioso, e abbia l’aspirazione a riportare a casa qualcosa di importante dopo essere stato lontano.
Amare l'arte è benessere
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