Lo spettacolo si svolge all’interno di un ampio tendone, dove il pubblico entra nella semioscurità percependo però nella penombra forme in movimento. L’aria è satura d’incenso. Due gruppi di monaci buddisti, raccolti sulle gradinate, emettono le cosiddette voix de buffles con la tecnica del canto difonico che permette di esprimere simultaneamente due suoni distinti. Il ritmo del nuovo spettacolo è cadenzato secondo i cerimoniali del buddismo: accompagnato dai suoni e dalla musica tibetani, il genio di Bartabas entra nel misterioso ed esoterico universo del Tibet a cavallo di venticinque destrieri e, in compagnia di creature incantate, restituisce le suggestive immagini del “Tetto del mondo”.
Forza e generosità di un popolo mistico ed avventuroso sono restituite anche grazie a dieci monaci provenienti dal collegio tantrico di Gyuto, che intonano le proprie musiche liturgiche. Con loro Bartabas ha costruito lo scenario sonoro e spirituale dello spettacolo: il loro canto, voix de buffles, dà vita ad un rituale magico che resuscita antichi miti e affascinanti demoni a cavallo, lanciati in acrobazie che sfidano la forza di gravità.
Il soffio del Tibet, con i suoi ritmi, le sue danze, le maschere, i simboli, i canti, avvolge la scena con immagini ora lievi, ora oniriche e meditative, morbide visioni impreviste, sfilate ultraterrene, che hanno il potere di portare alla luce anche l’invisibile.
Al centro della pista, ricoperta di terra color ocra, un emisfero trasparente (quasi la metà di un mappamondo che sembra contenere il cielo, la terra, il corso del tempo) gira intorno ad un asse invisibile lasciando intravedere un gruppo di cavalli bianchi. Un cavaliere solitario, con passo solenne, si muove attorno...
È solo l’inizio di Loungta ottava avventura della compagnia Zingaro, ma lo spettatore è già conquistato dai canti, dall’atmosfera, dalle luci, e dall’incontro continuamente rinnovato tra uomo e animale.
Lo spettacolo evoca la nascita, la morte e la reincarnazione secondo il Bardo Todol, il libro dei morti tibetano, al suono degli straordinari monaci cantori di Gyuto, allontanati dalla loro terra ma garanti delle tradizioni. I loro suggestivi strumenti aprono le porte al sogno, mentre i corpi agili dei cavalieri danzano sui cavalli. E così, in una successione di magnifici tableaux, si incrociano sciamani in trance, scheletri al galoppo, creature mascherate e una cavallerizza seguita da un corteo di oche, liberando nel finale una cavalcata sfrenata che è il più intenso omaggio che Bartabas potesse rendere al Tibet.
La musica ha un ruolo fondamentale ed è il vero centro di gravità dello spettacolo: una vibrazione profonda che conduce alla meditazione coinvolgendo il pubblico, i cavalli, e di ritorno i monaci. Così si compie l’incanto: uomo e animale, spirito e corpo, sacro e profano, oriente e occidente infine si fondono.
Conoscere la forza della musica è benessere
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