Uno dei principali sistemi globali di produzione dell’elettricità consiste nella costruzione di dighe.
Sulle 243 nazioni presenti sul Pianeta, solo 24 utilizzano l’energia proveniente dalle dighe: queste poche nazioni (tra cui l’Italia) sfruttano le risorse ambientali del resto del pianeta senza che i paesi “danneggiati” ricevano alcun indennizzo.
Di tutta l’energia che consumiamo, il 19% proviene dalle dighe, mentre il 16% della produzione alimentare globale dipende da queste costruzioni.
Il 16 novembre del 2000 a Londra, la Word Commission on Dams (Commissione mondiale sulle dighe) - una commissione internazionale voluta dalle Ong di tutto il mondo che da anni si battono contro le grandi dighe a causa del loro impatto sull'ambiente e sulle popolazioni locali - ha esposto i risultati di uno studio sulla questione delle dighe.
Ospite d'eccezione, l'ex presidente sudafricano e leader della battaglia contro l'apartheid Nelson Mandela, il quale ha sottolineato sì l’importanza degli sbarramenti fluviali per lo sviluppo economico, ma ha anche affermato che la loro costruzione quasi indiscriminata ha creato danni ambientali e sociali tali da rendere necessaria una riflessione molto più approfondita sulla questione.
L’anziano leader si è riferito soprattutto alla diga in costruzione nel Lesotho, la più grande mai progettata in Africa, che porterà all'espropriazione dei beni (inclusi case, campi e pascoli) di più di 30 mila contadini rurali, mentre il bacino del fiume Senqu, ricco di specie animali e vegetali endemiche, potrebbe scomparire completamente sotto il suo effetto.
La diga nel Lesotho rappresenta solo una delle 45.000 grandi dighe costruite nel mondo (vengono definite grandi dighe quelle che superano in altezza i 17 metri o hanno creato bacini con un volume superiore ai 3 milioni di metri cubici). Tra queste sono comprese i “giganti” di Pak Mun in Thailandia, Aslantas in Turchia e Kariba, fra lo Zambia e lo Zimbawe. Calcolando anche le “piccole dighe”, arriviamo a 800.000 dighe sparse sul Pianeta.
Secondo il rapporto finale della Wcd (il più completo studio mai effettuato sulla situazione delle dighe e sulla gestione delle risorse idriche ed elettriche), negli ultimi 50 anni fra i 40 e gli 80 milioni di persone - l'equivalente della popolazione della Spagna o della Germania – hanno dovuto abbandonare le proprie case, e le proprie terre d’origine per fare posto ai grandi sbarramenti, che hanno alterato il corso di quasi la metà dei maggiori fiumi del Pianeta. Cina e India sono le nazioni con il maggior numero di dighe, con spostamenti che proseguono al ritmo di 2/4 milioni di persone l'anno.
"Per i costruttori di dighe gli errori passati sono serviti soltanto ad accrescere l'imponente arco della loro curva di apprendimento - commenta la scrittrice indiana Arundhati Roy, sostenitrice del movimento anti-dighe del suo Paese - È ora che capiscano che questo arco ha distrutto la vita di milioni di persone".
Molte di queste infatti, protagoniste senza volerlo dei progetti di sbarramento, hanno perso tutto senza ricevere alcun risarcimento in nuove abitazioni, terre o denaro. Le popolazioni locali non sono state consultate riguardo l’uso che veniva fatto della loro terra e, non potendosi imporre di fronte alle grandi lobby, le loro richieste di risarcimento sono state spesso archiviate per decorrenza dei termini.
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