Scegliere di prendersi cura di una persona che chiede aiuto in ambito psicoterapeutico è come intraprendere un viaggio, per certi versi magico, in un mondo sconosciuto ma affascinante che è il mondo dell’altro essere umano.
Ricorrere all’aiuto dello psicoterapeuta non è come comunemente si pensa indizio di malattia mentale o di essere “strani”, ma nella stragrande maggioranza dei casi esprime la volontà di gestire in modo più consapevole la propria vita ed è il primo passo nel viaggio verso la risoluzione di difficoltà personali.
Quanto detto sopra può sembrare per certi versi scontato, ma è degno di continua attenzione per una persona che, come me, lavora in ambito terapeutico.
Ciò ha diverse implicazioni anche nella scelta delle diverse modalità di interazione.
Nella mia esperienza psicoterapeutica, ad esempio, in casi di disturbi dell’alimentazione (anoressia e/o bulimia), di attacchi di panico, di problemi nelle dinamiche familiari, etc., ho riscontrato che l’aspettativa che l’altra persona possa trovare la sua autorealizzazione col mio sostegno è un presupposto essenziale nella relazione terapeutica. Inoltre, dal mio punto di vista è fondamentale mantenere un atteggiamento diagnostico che potrei definire flessibile per non correre il rischio di “incasellare” in un genere predefinito la persona, ma semmai per considerare uno specifico disturbo psicologico come risposta ad una fase critica della vita.
Es. dire “sei depresso” è sicuramente più etichettante che dire “in questo momento della tua vita…” (escludo da questo riferimento i casi gravi di psicopatologia). Lo stesso dicasi per la persona che sta attraversando un momento difficile della sua esistenza: definirsi “ansioso” induce sicuramente ad un atteggiamento meno attivo e propositivo di pensare che la sua ansia può essere una reazione ad un disagio della sua vita presente.
Spesso mi trovo a fare i conti con l’idea, ancora comune in diversi contesti, che chiedere aiuto ad uno psicologo, e ancor di più ad uno psicoterapeuta, significhi necessariamente ed esclusivamente avere dei problemi “mentali” che il linguaggio comune definisce come “pazzia”.
Questo pensiero, purtroppo, nega la possibilità a diversi individui che invece si sentono “normali” di chiedere semplicemente un sostegno specialistico nel campo psicologico quando si trovano di fronte a difficoltà nell’affrontare una fase della loro vita o certi tipi di relazioni, (difficoltà quasi sempre riconducibili ad un contesto relazionale, a delle scelte non chiare, a delle emozioni forti che non vengono espresse per paura magari di ferire gli altri o perché “è sconveniente”).
Da questo punto di vista tutti gli esseri umani che intrattengono relazioni in ambito familiare, lavorativo, sociale in senso più allargato si incontrano, e a volte scontrano, con altri mondi a volte molto diversi dal proprio, e non sempre si ha la consapevolezza dei comportamenti distorti che si possono creare in reazione a difficoltà di relazione.
Anche noi psicoterapeuti, tra l’altro, non siamo immuni dalle difficoltà che il vivere quotidiano può fare incontrare, apparteniamo a questo mondo!
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