La cultura narcisistica limita la consapevolezza del proprio corpo perché è una cultura dell’immagine che soprattutto nell’ultimo decennio ha portato l’attenzione sociale e individuale a tutta una serie di variabili di forma piuttosto che di contenuto.
Nella mia esperienza di psicoterapeuta da questa visione nasce, da una parte, quel tipo di anoressia frutto del messaggio sociale: “se sei grassa o grasso non sei piacevole”; per cui la progressiva disabitudine ad ingerire cibo provoca poi disturbi alimentari. Il cibo diventa quindi il nemico primario di una lotta tra l’immagine individuale da mantenere e le richieste sociali a cui rispondere per non ritrovarsi “diversi”.
Contemporaneamente oggi si assiste ad una ulteriore tendenza per cui “grasso è bello”.
Anche quest’ultima, però, manifesta un rapporto non equilibrato col proprio corpo, sede di significati mentali e di bisogni spesso non direttamente collegati ad esso.
Questo deriva anche dal fatto che si è quasi del tutto perduta la connessione diretta fra cibo e piacere di nutrirsi per soddisfare la fame. Spesso si mangia per abitudine, perché “è l’orario giusto”, per trattare affari di lavoro, perché si è davanti al televisore…
I bisogni della mente si sovrappongono e spesso cancellano quelli corporei che non si sa più come ascoltare.
Si mangia per compensare “altro”, fino a non riuscire più a comprendere se la molla sta nel rapporto con il cibo o in quello con l’”altro”.
Da quando gli antichi Romani ricorrevano al vomito per poter ingurgitare tutte le portate dei loro banchetti, mangiare ha assunto soprattutto una valenza sciale del tutto separata dalle reali esigenze fisiologiche.
Gli altri mammiferi sanno istintivamente di cosa hanno bisogno: trovano erbe di cui nutrirsi per regolare le proprie funzioni organiche in maniera del tutto spontanea.
Una “cenetta romantica” è spesso un messaggio neanche troppo subliminare utilizzato per un approccio sessuale, il cibo assume le valenze più diverse: ormai l’unica virtualmente dimenticata è la fame.
Dal punto di vista psicologico, a partire da Wilhelm Reich, sono stati innumerevoli gli studi sul linguaggio del corpo come strumento per arrivare alla conoscenza psichica dell’individuo.
Con l’approccio psicoterapeutico della Gestalt, che è il mio ambito di intervento, osservando il corpo, la postura, il modo di respirare di un individuo è possibile risalire a parte della sua storia individuale e al suo rapporto con le dinamiche familiari.
Lavorando, pertanto, anche su questi elementi è possibile trasformare delle percezioni personali e acquisire nuove consapevolezze sulle proprie modalità di risposta all’ambiente esterno.
Addentrandoci adesso specificatamente nell’ambito proprio dei disturbi alimentari voglio specificare che essi si possono inserire in diversi stili di personalità, come sintomi di “contorno”.
Se invece esprimono il centro della personalità rientrano in vere e proprie psicopatologie che richiamano un rapporto distorto e più arcaico col cibo.
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