Nessun romano - né patrizio né schiavo - si radeva da sé in quanto gli attrezzi erano fragili e difettosi, non si usavano lozioni ed il sapone ancora non esisteva. Per cui, chi voleva farsi radere aveva solo due possibilità: o una rasatura accorta ma interminabile o una rasatura veloce con il rischio di tagli e sfregi.
Il tonsor doveva, quindi, necessariamente possedere una rara abilità e gli apprendisti, prima di poter aprire una loro bottega, erano costretti ad un lungo tirocinio durante il quale potevano usare solo rasoi smussati.
Gli “incidenti” sul lavoro erano così numerosi che i giuristi dovettero stendere una precisa regolamentazione per determinare le responsabilità e le relative sanzioni di legge.
Sfregi e ferite, pertanto, erano talmente frequenti che Plinio il Vecchio ritenne opportuno consigliare ai malcapitati Romani una disgustosa ricettuola contro le emorragie provocate dai tagli delle rasature: un’applicazione di tele di ragno mescolate con olio e aceto...
I barbieri più rinomati, quindi, erano anche i più lenti... talmente lenti da meritarsi satire e versi pungenti:
«Gira svelto barbiere gira gira
Intorno alla faccia di Luperco
E mentre che le gote sbarba sbarba
A quello spunta altrove un’altra barba» (Marziale)
Chi non aveva molto tempo da perdere o sangue freddo a sufficienza ricorreva al “dropacista” che gli passava sul volto il dropax, un depilatore a base di resina e pece.
Giulio Cesare e altri uomini “veri” del suo tempo, invece, ricorrevano alle pinzette e si facevano strappare i peli uno ad uno.
Poi, l’imperatore Adriano - per impazienza o per vigliaccheria o, più semplicemente, per nascondere delle antiestetiche macchie bluastre che gli deturpavano il volto - si fece crescere una bella barba e tutti i Romani si affrettarono a seguirne l’esempio, sollevati e felici.
Un po’ meno felici furono i tonsores... ma, si sa, alla moda non si comanda...
Amare è benessere
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