Con questo termine si indica la tendenza ad incolpare e responsabilizzare gli altri per quello che si è: i genitori, l’ambiente, la cultura, la religione, il governo, magari il tempo atmosferico…
Con questo non voglio certo dire che le esperienze vissute e l’ambiente in cui viviamo non siano quasi sempre responsabili della nostra condizione; il punto è che questo ha senso solo fino a quando non ne prendiamo consapevolezza; un passo importante nel proprio percorso è rendersi conto che niente e nessuno ha potere sulla nostra intangibilità interiore a meno che noi non glielo permettiamo. Sentirsi vittime, invece, costituisce un ottimo alibi per non fare nulla salvo… lamentarsi, e utilizzare questa condizione per ricattare e manipolare il prossimo.
Chi vive il ruolo di vittima, infatti, sembra debole e sottomesso mentre invece è un grande manipolatore: usa il proprio disagio, la propria sofferenza, talvolta i propri disturbi fisici, per avere attenzione e ricevere affetto, senza doversi mettersi realmente in gioco per averli. Per citare gli esempi più classici, il genitore che ricatta i figli dicendo “se non fai come ti dico” oppure “se te ne vai di casa” “mi ammazzi”, “mi farai morire” etc.
La società in cui viviamo è fortemente pervasa da un’ esaltazione della vittima, perché fa vendere i giornali, fa appello al pietismo ed al buonismo, soprattutto è comoda perché permette di rimanere alla superficie dei fatti, ad un livello puramente emozionale…
Voglio proporvi un piccolo esperimento: se nel leggere quanto ho scritto c’è qualche parte che ha suscitato una reazione emozionale, provate a chiedervi se c’è in voi una parte di vittima che si è sentita ferita…
Per informazioni sulle attività dell'Associazione Pachamama, consultare il sito web.tiscali.it/pachamama, scrivere a pachamama@inwind.it o telefonare al 069032785 o al 3387255800.
Non aver paura di crescere è benessere
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