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IL GRANCHIO, LA CHITINA E IL CORPO UMANO
Viene dalla natura la sostanza utilizzata in alcune terapie per la cura di ulcere cutanee, di piaghe da decubito e ustioni di 1° e 2° grado, utilizzata ormai da molti anni negli ospedali giapponesi d’avanguardia.

Francesca Giomo

Si tratta della chitina, un amino saccaride esistente in natura nel carapace dei granchi e nella parete delle cellule delle muffe. Da molti anni sono in corso ricerche per chiarire non solo le proprietà utilizzabili delle sue fibre e delle particelle porose che la compongono, ma anche per ottimizzare le modalità di applicazione di tale sostanza nella pratica.

In parte ci sono già riusciti. Sono ottimali, infatti, i risultati fin qui ottenuti dall’utilizzo di cure a base di chitina in caso di ferite procurate da ulcere cutanee, piaghe da decubito e ustioni di 1° e 2° grado. La necessità di tali ricerche parte dal presupposto che alcune lesioni gravi non potevano essere curate con le pomate tradizionali, ma solo attraverso interventi chirurgici e trapianti della cute, contro cui un buon numero di pazienti accusavano un netto rifiuto. Da qui la necessità di scoprire una cura che permettesse di intervenire e risolvere il caso, escludendo l’operazione.

Ma seguiamo nei dettagli la storia della chitina, soprattutto grazie a quali proprietà viene utilizzata in questo ambito, come e con quali risultati.

Una delle caratteristiche fondamentali della chitina nella guarigione dei casi sopradetti è che ha una grande affinità con il corpo umano, proprietà che la rende uno dei materiali maggiormente idonei a coprire e proteggere casi gravi di lesione della pelle.
Tale affinità è data dal fatto che la chitina in forma fisica di fibra si scompone facilmente con gli enzimi del corpo umano e si trasforma in N-acetil-glucosamina, presente, per l’appunto, nel siero del sangue. La scomposizione avviene molto lentamente dalla superficie fino al totale assorbimento e, grazie a un processo di metabolizzazione veloce da parte del corpo dell’elemento assorbito, l’infiammazione che ne deriva è di lievissima entità e scompare in breve tempo.

Partendo dal presupposto di un’ottimale ricettività della sostanza da parte del corpo umano, si è proceduto alla certificazione delle qualità terapeutiche della chitina sulle ferite, in caso di ulcera, ustioni e piaghe di decubito.

Un buon medicamento a base di chitina in tale ambito doveva ottenere sull’organismo curato, in primo luogo:
- un effetto calmante - analgesico
- un buon assorbimento dell’essudato (eccessiva produzione di umore)
- la protezione e la formazione della granulazione
- la formazione di un nuovo strato di epidermide, fino a portare alla ricostruzione totale e alla guarigione finale

Si è scoperto, inoltre, che la chitina attira sulla ferita le Lysozime, cellule positive, e ferma l’infiltrazione delle cellule infiammatorie, ovvero innesca un processo che porta alla guarigione in tempi brevi.

Dopo, quindi, gli ottimali risultati scaturiti dalla ricerca sulle proprietà terapeutiche della chitina, il problema consisteva nel trovare una modalità di applicazione della sostanza sulla parte lesa, in modo da ottenere l’effetto desiderato. Si trattava di “creare” una metodologia curativa così efficiente da potere sostituire le pomate, che, se in alcuni casi si erano rivelate efficaci nell’ambito di tali patologie, in numerosi altri, gli svantaggi ed effetti collaterali che ne seguivano l’applicazione non ne giustificavano più un utilizzo costante.


  
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