La cultura narcisistica dei nostri tempi limita, tra gli altri aspetti, la consapevolezza del proprio corpo perché si basa sull’enfatizzare “ciò che appare”, la forma, spesso a discapito di un’attenzione sul contenuto.
Non a caso disturbi come l’anoressia (rifiuto del cibo) e la bulimia (ingestione di grosse quantità di cibo con conseguente vomito) sono patologie molto attuali.
Dal punto di vista della “cultura della forma” il cibo è diventato il nemico primario di una lotta tra l’immagine individuale e le richieste sociali a cui rispondere per non ritrovarsi “diversi”.
Si è quasi del tutto perduta la connessione diretta fra cibo e piacere di nutrirsi per soddisfare la fame. Spesso si mangia per abitudine, perché “è l’orario giusto”, per trattare affari di lavoro, perché si è davanti al televisore, per fare compagnia ad un amico …
I bisogni della mente si sovrappongono e spesso cancellano quelli corporei che non si sa più come ascoltare. Si mangia per compensare “altro”, fino a non riuscire più a comprendere se la molla sta nel rapporto con il cibo o in quello con l’”altro”.
Da quando gli antichi Romani ricorrevano al vomito per poter ingurgitare tutte le portate dei loro banchetti, mangiare ha assunto soprattutto una valenza sociale del tutto separata dalle reali esigenze fisiologiche.
Gli altri mammiferi sanno istintivamente di cosa hanno bisogno: trovano erbe di cui nutrirsi per regolare le proprie funzioni organiche in maniera del tutto spontanea e vanno in cerca del cibo principalmente per soddisfare il bisogno della fame.
Mentre l’essere umano spesso non comprende quali possono essere i bisogni del suo corpo, al di là di quelli fisiologici. Il cibo, quindi, assume le valenze più diverse: ormai l’unica virtualmente dimenticata è la fame.
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