Quel giorno, dopo aver fatto il bagno e preso un po’ di sole, decisi di raggiungere il faro che sta in cima alla collina. Dopo una faticosa arrampicata, quando fui a circa tre quarti, decisi di abbandonare l’impresa (anche perché mi accorsi che l’area del faro era cintata)…troppo caldo. La vista sull’oceano era comunque stupenda….alla mia destra si poteva ammirare quel fazzoletto di Senegal che rimaneva (a meno di tre chilometri c’era la punta delle Almadies, il punto più occidentale dell’Africa continentale), alla sinistra Dakar ed il resto d’Africa, dietro di me l’aeroporto ed il quartiere Ouakam , di fronte, lo sconfinato oceano, con qualche scoglio, sui quali andavano a posarsi i gabbiani dopo un volo di libertà nel cielo, proprio come qualche anno prima in Bretagna.
Sotto di me, sulla spiaggia, una decina di senegalesi che giocavano a pallone, qualche bianco che prendeva il sole o faceva il bagno, qualcuno che aspettava la ”grande onda” per fare surf, delle baracchette adibite e gestite come baretti. Erano costituite essenzialmente da un muretto ed una stuoia e canne di bambù che faceva da tetto, e ci si poteva comprare da bere e panini….per quest’ultimi la preparazione durava un po’ di tempo, perché il barista doveva salire fino alla strada principale (3-400 metri di sentiero in salita), comprare del pane, dell’insalata e dei pomodori: il tutto durava circa un’ora…
Ma che importa, tanto siamo in vacanza, che fretta c’è? ( e questo mi ricordò una volta in cui, a Strasburgo, in Francia, andai in un ristorantino gestito da un senegalese e, dopo aver ordinato una pizza ai funghi - che non è il massimo, lo so, ma il budget era quello…- lo vidi uscire, e, dopo 10 minuti tornò con dei funghi freschi, appena comprati! Pensai “Geniale”).
Questo penso sia il bello del viaggiare: prendersi il tempo di vivere l’attimo, coglierne il profumo vitale che in quel momento ci soffia tra le ossa e che spesso, distratti come siamo dalla quotidianità e dai pensieri di tutti i giorni, non riusciamo ad assaporarne il piacere, fermarsi a guardarci attorno, cercare di capire cosa fanno gli altri….vacanza potrebbe essere sederti in piazza della tua città, ascoltare ciò che il tuo cuore ti dice in quel momento…il cuore è un muscolo che batte sempre, in ogni attimo della tua vita …se smette di battere sei morto: ascoltarlo ne vale la pena, ed è bene fermarci un attimo e dargli qualche volta retta, prima che si arrabbi.
Poi scesi dalla collina e tornai sulla spiaggia. Era ormai pomeriggio inoltrato, le cinque passate: il sole all’orizzonte era alto ma non ancora per molto. Mi sedetti a guardare i ragazzi che giocavano a pallone, che facevano il bagno, le onde dell’oceano che continuamente e perpetuamente, chissà da quanto tempo, andavano a sdraiarsi sulla “plage des Mammelles” , la spiaggia delle Mammelle.
Una spiaggia che, in realtà, non è la classica spiaggia tropicale con palme che si vedono sui depliants delle agenzie di viaggio. È molto meno paradisiaca, ma ha molto da dire…è una piccola insenatura, lunga si e no 300 metri e larga non più di 20, e che, per raggiungerla, bisogna discendere da un sentiero lungo la scogliera, che sembra proteggerla da tutti i guai e problemi africani…. Quando ci si siede a guardare il mare si resta colpiti dal senso di intimità che suscita.
Ero là seduto, tranquillamente perso nei miei pensieri, quando, all’improvviso, una voce mi risvegliò: “Ehi, toubab, ca va?” Sì, sto bene…ma cosa vuole questo? E via il solito ritornello: da dove vengo, che cosa faccio, da quanto tempo sono in Senegal, come mi trovo, ecc. Tutte domande sentite e risentite decine di volte….Poi, quel ragazzo di non più di vent’anni, mi chiese se fossi interessato a strumenti musicali, chitarre e djambè in particolare, e incominciò ad invitarmi a seguirlo, dicendo che mi avrebbe mostrato qualcosa di interessante. Rifiutai, ma lui insistette con una tale persuasione che, dopo un po’, dovetti cedergli. Così presi il mio zainetto e decisi di andargli dietro…anche perché casa mia era nella direzione in cui lui mi avrebbe portato.
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