Il Reiki viene trasmesso ed insegnato attraverso seminari, un termine che può far pensare a qualcosa di puramente intellettuale; si tratta invece di una modalità codificata in maniera ben precisa per garantire la trasmissione organica dell’esperienza.
Il vero insegnamento che viene trasmesso da un seminario di Reiki è, infatti, il modo nel quale esso viene tenuto, il messaggio semantico che esprime; molto più dei contenuti teorici e pratici che ne costituiscono la struttura. Anche per quanto riguarda questa utlima, le regole sono poche e molto semplici, dettate in gran parte dal buon senso, ed hanno il fine di aiutarci a vivere l’esperienza nella sua purezza originaria.
a) Per cominciare, è evidente che chi tiene il seminario non deve assolutamente utilizzare in esso tecniche emozionali, psicologiche o catartiche che creerebbero inevitabilmente un transfert nei suoi confronti e confonderebbero le idee a chi si accosta al Reiki;
b) Chi sceglie in prima persona questa esperienza ha il diritto di viverla nella sua interezza, non annacquata o confusa in mezzo a molte altre tecniche, per quanto interessanti esse possano essere. In questo senso voglio citare una raccomandazione di Hawayo Tarata, che ha portato il Reiki nel mondo occidentale dal Giappone secondo cui un seminario di Reiki non deve mai durare troppo, proponendo una durata massima di tre ore per ogni incontro. Una parte della sfida inerente all’essere realmente maestri di Reiki è proprio costituita dal fatto di riuscire a stare nei tempi stabiliti: ciò costringe inevitabilmente a rimanere nell’essenza e nella semplicità dell’esperienza, senza dar fiato al proprio ego, alle proprie teorie, alle proprie elaborazioni, alle proprie tecniche.
In poche parole, saper essere realmente canali dell’esperienza del Reiki, senza personalizzarla. Mi rendo conto che ciò può sembrare strano in un periodo storico dominato dal consumismo, dove siamo abituati a cercare solo chi ci dà di più a minor prezzo: il Reiki capovolge radicalmente questa impostazione. Dare di più a livello quantitativo, in questo caso, può significare infatti dare di meno a livello qualitativo.
Nel corso del seminario, quindi, si dovrebbe fare solo Reiki: per qualsiasi altra tecnica o forma meditativa dovrebbero essere dedicati altri momenti al di fuori della struttura del seminario stesso. E questo anche per una questione di rispetto: una delle caratteristiche sulle quali si insiste molto, nel Reiki, è che si tratta di un’esperienza di tutti e per tutti.
Qualsiasi altra tecnica può indubbiamente interessare molto ad alcuni dei presenti, ma poco o niente ad altri che - trovandosela imposta durante un seminario di Reiki, inevitabilmente se ne allontaneranno. Né si deve approfittare dello spazio del seminario per proporre le proprie esperienze e le proprie ideologie.
I trattamenti, la teoria e la storia, i principi: questi sono gli argomenti che vengono affrontati nel primo livello, ma al di là di tutto questo c’è una trasmissione di energia che deriva dal far parte dello spazio sacro che si viene a creare in ogni seminario.
Proprio per una questione di trasmissione energetica, è essenziale che il linguaggio utilizzato sia il più possibile “laico”, svincolato da terminologie o riferimenti legati ad una filosofia, una religione o ad un Maestro spirituale: termini legati al buddismo, al cattolicesimo, all’insegnamento di personaggi quali Osho o Sai Baba inseriscono nell’energia del Reiki quella di altre ideologie, “colorandola”.
La sintesi non tocca al maestro: va lasciata all’allievo la libertà di giungere alla propria.
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