Senza lavorare non si può essere felici. Siamo nati per lavorare. La maggior parte di coloro che, ricchi di nascita, rifuggono il lavoro per dedicarsi alla "bella vita", finisce preda di alcool, tossicodipendenze, depressione, senso di vuoto e di inutilità profonda.
Come mai nelle comunità di recupero, nelle carceri, perfino nei centri di igiene mentale si usa il lavoro come terapia? Perchè il lavoro regala equilibrio mentale e psichico, indirizza i pensieri verso l'azione finalizzata ad un risultato positivo per la comunità. La mente non gira a vuoto persa nei circoli viziosi dell'egocentrismo, ma si proietta all'esterno e scopre di poter incidere sulla realtà, alimentando il proprio senso di padronanza e di valore.
Negli Stati Uniti, dopo anni di campagne per favorire l'autostima nelle scuole basate sulla mera ripetizione di slogan del tipo "Sono migliore di giorno in giorno" o "Mi voglio sempre più bene", si è compreso che tali affermazioni non conducevano ad alcun risultato se i bambini non venivano sollecitati a studiare per ottenere risultati concreti. Gli psicologi sono giunti alla conclusione che l'autostima si forma sul campo, cimentandosi in esercizi complessi e misurando il proprio rendimento, sicchè compito degli insegnanti doveva essere piuttosto quello di stimolare i giovani allo studio e soprattutto a non arrendersi di fronte alle difficoltà. Solo così si sarebbe formata in loro una sana autostima.
Lavorare è importante. Nella concentrazione e nello sforzo sempre al limite delle proprie capacità, l'uomo si mette continuamente alla prova, impara dai propri errori, ritenta senza scoraggiarsi e trova la soddisfazione dei risultati raggiunti.
Si può paragonare l'appagamento e l'espressione raggiante di chi si è impegnato per ore a risolvere un problema con la noia e il vago sconforto che prova chi ha trascorso lo stesso tempo a bighellonare senza frutto?
Il lavoro regala serenità perchè consente di esprimere se stessi e il proprio talento con un tornaconto personale, ma anche con un beneficio per la società. Ed è solo nell'esercizio del proprio talento, qualunque esso sia, che gli esseri umani possono dare senso alla propria vita e trovare la felicità.
Per realizzare qualunque obiettivo nessuno può fare a meno degli altri. Il lavoro porta ad immergersi in una rete di relazioni e di collaborazioni che, gestite con rispetto e attenzione, consentiranno di operare nell'interesse di entrambe le parti, perchè la cooperazione è positiva solo quando non c'è sfruttamento, ma ciascuno sente di fare il meglio per sè. Proiettando uomini e donne in un ambito sociale, nella ricerca attiva dell'aiuto reciproco e delle sinergie, il lavoro è fonte di comunione e di benessere.
Naturalmente non sto parlando solo del lavoro che porta lo stipendio alla fine del mese, ma di qualsiasi impegno concreto nella realtà: dall'espressione artistica al lavoro per la famiglia, al volontariato, a qualsiasi attività nella quale ciascuno possa dare il massimo delle proprie possibilità.
Nella sua espressione migliore, il lavoro è quindi fonte di libertà, perchè la libertà più grande per l'uomo è quella di realizzare se stesso per il bene di tutti.
Tutti sappiamo che c'è anche un altro lavoro. C'è il lavoro che succhia la vita attraverso lo sfruttamento e la violenza, fisica e psicologica; il lavoro che inaridisce l'anima nella ripetizione di gesti vuoti; il lavoro che danneggia la società di chi agisce solo per il proprio tornaconto costruendo armi, distruggendo l'ambiente, producendo alimenti che rovineranno la salute di chi li mangerà o oggetti che incrementeranno il consumismo sfrenato nel quale le persone cercano sollievo al vuoto delle proprie vite; il lavoro "nero", "precario", mal pagato, sfruttato di chi usa gli altri per i propri biechi fini; il lavoro che fa ammalare, che fa soffrire, che fa tornare a casa spenti e svuotati, senza più energie anche se si è stati seduti tutto il giorno ad una scrivania. E c'è chi nel lavoro cerca una droga per fuggire da se stesso, chi cerca di affermarsi a spese degli altri, chi raggiunge il successo prevaricando e sgomitando e, una volta al potere, lo usa per arricchirsi a scapito della società.
Da questa consapevolezza possiamo concludere che lavorare sia un male? Credo di no. Credo che sia dovere di ciascuno non rassegnarsi mai ad un lavoro che non sia fonte di soddisfazione e di felicità e non smettere mai di cercare un'attività che risponda alla propria vocazione più profonda, impegnandosi, per quanto è nelle proprie possibilità, perchè anche gli altri possano godere di questo diritto.
E non smettere mai di lavorare, perchè il lavoro è una parte fondamentale della vita, senza il quale nè il riposo, nè lo svago, nè il divertimento possono essere davvero apprezzati.
Mi torna in mente il titolo di una poesia di Rafael Alberti, "Con le scarpe addosso voglio morire": parole usate in tutt'altro contesto, ma forse l'augurio che, il più lontano possibile, tutti possiamo farci. Lavorare l'intera vita per esprimere noi stessi fino in fondo.
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