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“Ma come faccio a piegare questa?!”. Di colpo, dalla cabina esce la vecchina tutta preoccupata, sventolando la terrificante scheda di quest’anno, un lenzuolo di carta largo novantotto centimetri. Naturalmente ha già segnato il suo voto, della cui segretezza non deve importarle granché. Al nostro presidente di seggio però sì: le corre incontro, le grida benevolmente di piegare la scheda, cerca di vincere le sue proteste. Chiaramente si arrende il presidente: prende la scheda, arretra il più possibile e, alla nostra vista, la piega come può dietro la schiena, senza guardarla. Poi di fretta la infila nell’urna, rimprovera scherzando la vecchina; questa sorride e lentamente se ne va.

Ecco, queste due realtà sono incredibilmente frequenti nelle ore che si passano seduti a osservare il voto: i personaggi curiosi, strani o per qualche motivo interessanti e le scene animate, in cui il continuo sfioramento (e, qua e là, sconfinamento) dei limiti sacri di un rito produce surrealtà a getto continuo. Viene una ragazza cieca, accompagnata nel seggio dalla madre che voterà per lei. Un altro uomo anziano esce dalla cabina, matita e scheda in mano, per chiedere di avere una nuova scheda perché ha sbagliato a mettere la croce. Arriva una donna non autosufficiente su una carrozzina, ma non ha il documento che autorizza l’accompagnatore a entrare in cabina. Comincia una discussione che, già si capisce, il presidente concluderà concedendo il permesso.

La macchina del voto spaventa tanti, giovani avvocati o attempate casalinghe: moltissimi uscendo dalla cabina si scusano di non avere saputo piegare la scheda come si conveniva: ma quasi nessuno lo ha saputo fare. Anche le modalità di voto (preferenza scritta? Solo la croce? E dove? E come si fa il voto disgiunto?) preoccupano tanti prima di entrare al seggio. Allora ci chiedono indicazioni, a volte senza rendersi conto di stare esplicitando apertamente le loro preferenze politiche.

Sì, perché uno dei giochi preferiti di qualsiasi scrutatore – cercare di intuire delle persone che entrano se voteranno più a sinistra o a destra – è facilitato a volte da elettori, spesso in là con gli anni, che ti chiedono indicazioni tecniche sul voto segnando a dito delle aree ben precise sugli elenchi dei candidati appesi al muro.

Si vede che il voto emoziona ancora. Soprattutto chi con la politica ha poca confidenza si presenta timoroso, cauto, a volte dimostrando di non avere ancora le idee chiare su chi votare. La ragazza giovane e firmatissima e il metalmeccanico ingobbito si trovano per una volta vicini, entrambi al cospetto di un atto di cui capiscono l’importanza e che in qualche modo li livella, procurandogli le stesse ansie, gli stessi auspici, a volte addirittura gli stessi movimenti. Usciti da qui le loro vite divergeranno in maniera completa per mesi o anni.

La giornata dura quattordici ore, dalle otto alle ventidue, con le sole interruzioni di due pasti, un paio di caffè e, magari, del nostro voto. Ma il tempo scorre bene, spesso in modo piacevole, fra battute con i colleghi e una chiacchiera con gli scrutatori delle sezioni vicine, usciti anche loro a prendere una boccata d’aria in corridoio nei momenti di stanca. In qualche momento, invece, si formano delle code, che, se non durano troppo, sono anche divertenti. Lo scrutatore in questo caso fa la parte di un vigile urbano, che dirige flussi di elettori secondo i tempi del voto e fornisce indicazioni e spiegazioni.

Si esce alle ventidue e quindici, dopo avere sigillato di nuovo con lo scotch porte e finestre. Minimo rinforzo della cena e a letto presto: domani tocca svegliarsi alle sei, per la riapertura delle sette.


Giorno due (lunedì)

Se si esclude il sonno terrificante e il conseguente trauma della corsa al seggio per arrivare puntuali, il lunedì scorre ben più tranquillo della domenica, almeno finché durano le operazioni di voto. Si rivede in piccolo ciò che si è vissuto il giorno prima. Domenica notte abbiamo chiuso con un afflusso che era del 50% quasi spaccato; lunedì la nostra sezione arriverà al 65,5%.

Soprattutto vengono baldi professionisti, che la domenica avevano approfittato del bel tempo per andare al mare; poi qualche universitario, qualche casalinga, qualche vecchietta. In generale si vedono pochi giovani e pochissimi stranieri. Sarà la zona centrale, sarà l’astensionismo, ma viene da chiedersi quanto le persone che ci sfilano davanti rappresentino la Milano che vediamo per strada.


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