Nei giorni scorsi sono stati pubblicati i risultati di una ricerca statistica condotta in alcuni ospedali dell’Illinois (USA) sull’effetto della preghiera su pazienti operati al cuore.
La ricerca ha fatto emergere l’assenza di miglioramenti in quei pazienti che, consapevolmente o inconsapevolmente, erano oggetto di preghiere di guarigione da parte di terzi.
Al di là dei risultati, questa ricerca porta l’attenzione collateralmente sulla variabile di “predisposizione mentale alla guarigione”.
Nel senso che questi dati, confrontati con precedenti ricerche analoghe, dimostrano dal punto di vista psicologico che affidarsi passivamente alle preghiere di altri non ha effetti positivi sulla malattia fisica, invece li ha l’uso della preghiera personale, quindi con atteggiamento attivo.
Non voglio qui, ed in questo momento, scrivere sugli effetti più o meno benefici relativi alla connessione con il “divino”, ma sull’importanza di un atteggiamento vigile e presente verso la propria salute psico-fisica.
Come psicoterapeuta, spesso mi capita di esprimere e rinforzare l’aspetto positivo della decisione di chiedere aiuto.
Nel senso che chiedere un primo appuntamento ad uno psicoterapeuta, presentarsi all’appuntamento stesso e decidere di tornarvi è già il primo e fondamentale passo verso il proprio cambiamento, ossia l’inizio del “funerale” della propria sofferenza psichica.
Rimanendo nella metafora, ci sarà poi chi, dopo un tempo del tutto soggettivo, deciderà di celebrare questo funerale continuando a portare fiori sulla tomba e chi, invece, preferirà procedere alla cremazione, ossia a non lasciare traccia dei propri disagi.
Come terapeuta che utilizza lo strumento e la condizione di “tempo presente”, propendo alla “cremazione” in quanto, alla fine di un processo di cambiamento, la personalità che ha chiesto aiuto nel primo appuntamento psicoterapeutico non ci sarà più, così come non ci saranno più (mi auguro!) quelle stesse sofferenze, ansie, disagi.
Quando si vivono momenti di tempo presente non può esserci spazio per i ricordi, ma solo per la vita reale, che è fatta di respirazione, sentire, consapevolezza.
L’opzione “fiori sulla tomba”, invece, richiama ciò che si è stati.
Questo atteggiamento può avere un senso di “prognosi” positiva se si usa il confronto passato-presente per avere ancor più consapevolezza di ciò che si è realizzato, mettendosi in gioco e aprendo le porte ai propri “segreti” interiori.
Non serve a molto quando diventa attaccamento a ciò che fu, o quando si delega il proprio cambiamento cosi come le proprie preghiere.
Essere in simbiosi col proprio passato vuol dire negarsi la possibilità di “vedere”, sia in senso letterale che figurato.
In senso letterale perché, quando si è in simbiosi, non si vede, anche fisicamente, coi propri occhi, ma con gli occhi delle persone o delle situazioni alle quali si è attaccati, legati.
In senso figurato perché vedere implica la possibilità di non vedere, ossia la scelta consapevole di cosa si vuole sentire, dove si vuole andare, e chi si vuole essere.
Quindi trasformare la simbiosi, l’attaccamento, il legame con il passato, in capacità di vedersi per ciò che si è, senza bisogno di emulazioni, è un grande passo verso l’uso positivo e terapeutico delle preghiere nell’accezione meditativa dello spirito che, astraendosi dalla forte capacità di controllo della mente, può apportare cambiamenti benefici al corpo e anche alla psiche.
Buona cremazione a tutti!
Dott.ssa Maria Rosa Greco
Psicologo clinico e psicoterapeuta della Gestalt
e-mail: greco.mariarosa@libero.it
tel. 338/7255800
Non aver paura di curare la propria anima è benessere
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