Ma se questo atteggiamento per anni è stato definito vanità, forse è arrivato il momento di capire cos’è veramente. Non ci si osserva per ammirarsi. Si tratta piuttosto di un controllo continuo e pedissequo. Come volessimo pianificare, insieme alle nostre giornate, anche il modo di porci agli altri. Che se per gli altri siamo il nostro naso, le nostre labbra, il fondoschiena e la camminata, allora è bene saperlo, chi siamo. E ci controlliamo invano e senza soddisfazione, convinti di essere per gli altri esattamente l’immagine riflessa dallo specchio e niente di più o di meno.
Ecco che un semplice gioco di luce accende un conflitto irrisolto tra quello che sappiamo di essere dall’interno, e quello che vediamo di essere fuori. Le nostre sembianze sociali, niente di più importante. Ma siamo davvero quella faccia che abbiamo, quel corpo?
Ah, finalmente! Eccolo là! Chi era? Niente era. Nessuno. Un povero corpo mortificato, in attesa che qualcuno se lo prendesse. Le pirandelliane considerazioni riecheggiano ancora tra le crepe di uno specchio. Forse che, in uno specchio, non possiamo vederci vivere? Proprio così. Perché non appena ci riconosciamo nello specchio, e fingiamo di estraniarci da quell’immagine per massacrarla di giudizi così come farebbe un altro…ecco che crollano i fili. Il burattino torna di legno, paralizzato e irreale. Sembra di entrare nella morte piatta di Barthes, quella della fotografia. Mettersi in posa davanti allo specchio, come davanti a un obiettivo: perdere la naturalezza. Muore la verità. Inizia la recita.
Non è un caso che molti laboratori teatrali per attori, professionisti e non, prevedano come unico attrezzo lo specchio. Come si danza allo specchio, si recita allo specchio. Ma allo specchio, non si vive. E se all’inizio si può avere l’impressione che il vetro magico riproduca fedelmente la realtà, prima o poi finiremo per accorgerci che non è difficile arrivare a pericolose distorsioni. Alcune malattie come l’anoressia, indissolubilmente legate all’accettazione della propria immagine in relazione al sentimento vitale che si ha di sé, sono l’assurdo risultato di queste distorsioni.
Un gioco perverso, insomma. Dal quale è difficile tenersi alla larga, soprattutto nella società che stiamo vivendo. Dove l’immagine è tutto. E le centomila maschere sono presenze spettrali pronte a fiatarci sul collo, ad attaccarcisi in faccia dopo l’ennesimo intervento chirurgico.
Forse, la sana pazzia di vedersi nessuno non è l’unica via d’uscita. Sarebbe bene imparare a guardarci, sì, ma oltre lo specchio. Magari creando qualcosa di unico. Magari scoprendoci negli occhi della persona amata, lo specchio più vivo. Che la bellezza umana senza vita non esiste, e i nostri corpi sono corpi quando si cercano e si trovano nel flusso inafferrabile dell’esistenza.
Amare è benessere
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