Vi siete mai “sorpresi a sorprendervi” in uno specchio? Sicuramente. Anche di fronte alla negazione dei più spavaldi, i fatti restano questi. Il rapporto tra l’immagine che noi abbiamo di noi, e che gli altri hanno di noi, resta uno dei più irrisolti e spigolosi della nostra esistenza. Così, sorprendersi a sorprendersi in uno specchio, capita. E capita tutti i giorni. E più di una volta al giorno.
Gli psicologi direbbero che esistono due modi diversi di guardarsi allo specchio. Uno è quello funzionale. Usiamo lo specchio come uno strumento per fare cose altrimenti impossibili: ci trucchiamo, togliamo le sopracciglia, applichiamo un po’ di crema su una bollicina, sistemiamo i vestiti, annodiamo la cravatta. Una maniera innocua di specchiarsi. Non si pensa a cosa si è. Si percepisce l’immagine come riflesso esterno alla coscienza di sé. In parole più specifiche, l’immagine nello specchio non è riconosciuta da noi come auto-referenziale. Certo, sappiamo che siamo noi, ma lo sappiamo attraverso percorsi mentali periferici che lasciano intatta la sfera dell’identità.
L’altro modo di guardarsi allo specchio, è più invasivo. “Questo sono io”, il riconoscimento che porterà Narciso alla morte. Cercare di trovare nell’immagine restituita dal riflesso, niente di meno che sé stessi. Sorprendersi a sorprendersi. Tentare ancora di cogliersi impreparati, come se a guardarci fosse un io talmente critico da essere un altro. È qui che comincia il dramma e la pazzia, direbbe il Vitangelo Moscarda di Uno, nessuno e centomila.
Già, dramma e pazzia. Perché cercare di colmare quell’infinito scarto che sentiamo forte tra la nostra personalità e l’immagine che il riflesso ci restituisce, non può far altro che trascinare il nostro rapporto con lo specchio in un vortice di morbosità senza uscita. La chirurgia estetica non avrebbe avuto tanto successo, senza assicurarsi prima l’esistenza ineliminabile di questo squilibrio umano alla base.
Per capire quanto il rapporto tra immagine e identità sia morboso basta entrare in un luogo pubblico dove siano presenti specchi. Una palestra, uno spogliatoio, un bagno. C’è sempre il momento in cui qualcuno dimentica il resto della gente intorno e credendo di essere solo comincia curiosamente a scrutarsi. Si giudica dalla testa ai piedi, da quello che si vede a quello che non si vede. Il turbamento dello sguardo lo dimostra.
Le donne sono ottime cavie in questo. Passerebbero secoli davanti ad una superficie riflettente. Mentre si vestono, mentre si svestono. Ora si slacciano la giacca per lasciar intravedere la scollatura, ora la riallacciano per coprire la pancia. Ora sorridono, ora ammiccano, ora fanno il broncio.
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