Facciamo conto di avere aperto l’acqua della doccia, ora. Lasciamo che scorra per poco, giusto il tempo di leggere questo articolo. Non ha senso, naturalmente, ma non è poi così inverosimile, in un tempo e luogo in cui l’acqua la diamo per scontata: è lì, accessibile, naturale nei nostri rubinetti e così poco costosa. Semplice acqua che scorre.
E’ in corso in questi giorni a Città del Messico il Forum mondiale sull’emergenza idrica, organizzato ogni tre anni dal Consiglio mondiale dell’acqua. Niente di strano: la scarsità dell’acqua in alcune zone del mondo è ormai un problema sociale noto e consolidato. Al punto che si parla di guerre dell’acqua: quelle che secondo molti scoppieranno nei prossimi decenni, quando l’emergenza si farà del tutto intollerabile.
E invece c’è tanto di strano, o almeno dovremmo vedercelo. Basta pensare che la maggior parte dei paesi in emergenza – neanche a dirlo, quelli del sud del mondo – risultano essere zone in cui l’acqua è naturalmente abbondante. Cherrapunji, in India, è la città più piovosa del mondo, ma i suoi rubinetti sono periodicamente a secco. La Cina è un paese attraversato da molti fiumi, uno dei più fortunati in termini idrici, eppure le zone rurali patiscono una carenza costante di acqua potabile e irrigua, mentre nelle città circa metà dell’acqua non è potabile.
Sono solo alcune delle contraddizioni che uccidono otto milioni di persone all’anno in tutto il mondo, più della malnutrizione. Non si tratta solo di sete, ma di acqua che viene usata (e bevuta) sporca perché non si può pulirla. O dell’assenza completa in certe zone di servizi igienico-sanitari e delle malattie conseguenti. I governi di molti stati si disinteressano dell’acqua, perché appare meno redditizia dell’oro o dell’elettricità. Non costruiscono condutture, non la puliscono, lasciano che i fiumi si inquinino o si prosciughino.
La popolazione protesta e spesso sono le multinazionali a prendersi carico della questione risistemando i servizi, almeno in parte. E scoprono che l’industria dell’acqua paga, come tutti i beni scarsi e fondamentali. L’acqua diventa merce, che nei paesi del “secondo mondo” spesso costa troppo. In quelli più svantaggiati, invece, il problema rimane quello di reperirla.
In Europa e nel Nord America, intanto, si produce la birra: per ogni litro, ne servono trenta d’acqua. I litri d’acqua sono invece 1.500 per un chilo di farina. Ogni abitante ha a disposizione da trecento a seicento litri d’acqua da consumare in una giornata. In Asia e Sud America dispongono di cinquanta/cento litri, in Africa meno di quaranta, fino anche a dieci in certe zone, l’equivalente di uno scarico della toilette. Una sperequazione che assomiglia a tante altre fra nord e sud del mondo, ma forse più urgente e più surreale di altre, per la sua relativa invisibilità.
Le fatiche del Forum mondiale dell’acqua sono appena agli inizi. Si deve ancora sgomberare il campo da alcune leggende. Non è vero per esempio che l’acqua sia una risorsa infinita. Gli sprechi, la cattiva gestione, l’incremento demografico la riducono nel tempo: le riserve di acqua dolce erano di 16.800 metri cubi nel 1950, 7.300 nel 2000 e si stimano a 4.800 nel 2025.
E bisogna cambiare la percezione culturale di questo bene: si deve diffondere l’idea che l’acqua non è una merce ma un diritto. L’Onu si è posta l’obiettivo di dimezzare per il 2015 il numero di persone che non hanno accesso ad acqua e servizi idrici, vale a dire coloro che non arrivano a disporre di venti litri al giorno entro una distanza massima di un chilometro.
Resta il rischio storico di questi vertici internazionali: lo scollamento fra gli ideali alti e le politiche di indirizzo che vengono elaborate e la loro attuazione concreta nei villaggi messicani o nei pozzi africani. In mezzo ci sono la palude degli interessi politici ed economici degli stati e delle industrie e le coscienze insonnolite delle opinioni pubbliche.
Chiudiamo il rubinetto della doccia. Nei tre minuti in cui avete letto quest’articolo sono finiti nello scarico almeno trenta litri d’acqua. In Africa una persona avrebbe bevuto, cucinato, lavato sé stessa e i propri vestiti per un’intera giornata.
Conoscere la terra che abiti è benessere
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