Si dice influenza aviaria l’infezione che colpisce le specie avicole, sia domestiche (polli, tacchini, oche, anatre) che selvatiche (in particolare gli uccelli acquatici: cigni, anatre ed oche non domestiche, limicoli).
Attualmente, la diffusione del virus è grave soprattutto per quanto riguarda le forme domestiche, a causa delle malsane condizioni in cui gli animali vengono allevati: il contatto troppo stretto fra gli animali, infatti, fa sì che batteri e virus siano scambiati tra un individuo e l’altro con una percentuale elevatissima, come trovarsi in una stanza chiusa con persone influenzate.
Gli uccelli selvatici contraggono il virus in rarissime occasioni, quelle in cui entrano in contatto con il pollame domestico. Solo in poche decine di cigni e in un airone è stato identificato il ceppo del virus H5N1, potenzialmente dannoso anche per l’uomo, mentre solitamente gli uccelli selvatici sono affetti da un ceppo per noi del tutto innocuo.
Proprio a ieri risale la notizia di un gatto trovato morto a causa del virus, dopo aver mangiato una gallina infetta ma la notizia non vuole essere troppo allarmante: come ha scoperto Pasteur, a fine Ottocento, a 100 gradi centigradi la maggior parte dei batteri e virus muoiono (per questo, ad esempio, si pastorizza il latte e si fa bollire l’acqua prima di buttare la pasta); il virus dell’aviaria, a differenza del morbo della mucca pazza- un difetto di una proteina inorganica-, è un virus organico soggetto quindi alle leggi di Pasteur: non c’è quindi prova del fatto che il virus resista ad una corretta cottura della carne.
La trasmissione del virus avviene, infatti, attraverso un contatto poco igienico con animali infetti, mangiando cibi poco cotti o sporchi ed infine attraverso il terreno, portandosi sotto la suola delle scarpe granelli di terra provenienti da luoghi in cui vivono animali infetti.
Ci sono quindi due ordini di problemi: innanzitutto, il virus sembra svilupparsi in condizioni di allevamento scarsamente igieniche e conosce diffusione anche a causa dei combattimenti fra polli; inoltre gli animali risultano essere resistenti alle cure antibiotiche per l’abuso di queste sostanze nell’alimentazione a cui da anni sono sottoposti volta ad una crescita più rapida dell’animale che quindi può essere macellato in tempi minori. Sembra inoltre che l’utilizzo di escrementi di polli come mangime per i pesci e come concime abbia provocato epidemie negli allevamenti di pesci in Cina, Romania e Croazia e la diffusione del virus ad altre specie.
La Lega Italiana Protezione Uccelli sta cercando di fermare il massacro immotivato, soprattutto nei paesi dell’Est, di uccelli selvatici che non sembrano essere la causa dell’espansione del virus che si sta, infatti, diffondendo sulle rotte commerciali e non migratorie di uccelli. Questo ad ulteriore testimonianza del fatto che- come spesso accade- anche la diffusione dell’aviaria non è causata da un difetto della natura, ma da un errore umano.
Nel 1997 il virus H5N1 fa la sua comparsa ad Hong Kong dove diciotto risultano i casi umani, sei i morti. In quell’occasione, per arginare il problema, tutti i polli nel territorio furono abbattuti. Nel gennaio 2004 una nuova ondata del virus colpì la Thailandia ed il Vietnam, giungendo in poche settimane anche in Corea del Sud, Indonesia, Cina e Giappone; in quest’occasione più di 40 milioni di polli furono abbattuti, morirono 23 persone. Nel febbraio dello stesso anno, il virus fu riscontrato nei suini in Vietnam: in questi animali il virus dell’influenza umana combinato a quello dell’aviaria potrebbe provocare mutazioni genetiche pericolose per la trasmissione all’uomo. Nell’agosto 2004 l’aviaria arriva in Malaysia e nel raggio di 10 km dalla zona maggiormente infettata, secondo una disposizione della autorità locali, tutto il pollame fu abbattuto. Nel gennaio 2005, ancora in Vietnam, vennero abbattuti circa 1.200 polli e più di 140 milioni di uccelli morirono a causa del virus.
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